14 Luglio 2023
La generica propensione al rischio dell’investitore non è sufficiente a superare la presunzione legale di sussistenza del nesso causale tra violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario finanziario e danno subito dall’investitore.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 18293 pubblicata il 27/6/2023, è tornata a pronunziarsi sull’onere della prova circa il nesso causale tra violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario finanziario e danno subito dall’investitore, indagando in particolare quali circostanze siano idonee ad integrare la prova contraria che consente di vincere la presunzione legale di sussistenza di tale nesso.
Il caso sottoposto ai giudici di legittimità afferiva a due operazioni di acquisto di bond argentini concluse nel 1996 e nel 1998, in relazione alle quali l’investitore domandava il risarcimento dei danni subiti per inadempimento dell’intermediario agli obblighi informativi di legge, che gli ha impedito di ponderare adeguatamente il rischio dell’investimento effettuato.
La sentenza impugnata
La Corte d’Appello ha respinto la domanda risarcitoria avanzata dall’investitore nei confronti dell’istituto di credito – pur riconoscendo la violazione degli obblighi informativi imposti dalla legge da parte di quest’ultimo – affermando che anche se l’investitore avesse conosciuto i rischi associati ai prodotti finanziari oggetto di causa (definiti moderati, o poco alti), a fronte della profilazione del cliente come investitore esperto, con alta propensione al rischio, non sarebbe stato dissuaso dall’acquisto dei bond.
Il ricorso in Cassazione
Nel ricorso per Cassazione l’investitore, tra i diversi motivi di impugnazione articolati, ha lamentato che la Corte d’Appello, una volta accertato l’inadempimento dell’intermediario finanziario agli obblighi informativi, avrebbe dovuto considerare in re ipsa il nesso causale tra la condotta in violazione di legge ed il danno subito dall’appellante.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di legittimità ha ritenuto fondato il suddetto motivo di ricorso richiamando l’evoluzione giurisprudenziale relativa al nesso causale tra l’inadempimento di obblighi informativi da parte dell’intermediario ed il pregiudizio patrimoniale subito dall’investitore, che vede come punto di approdo la decisione della Cass. 17/4/2020 n. 7905.
Il ragionamento della Suprema Corte muove dal rilievo per cui l’intermediario finanziario ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, ossia idonea a soddisfare le esigenze richieste dalle peculiarità del caso di specie. Il sistema normativo, infatti, assegna all’obbligo informativo gravante sull’intermediario una funzione precisa: quella di riequilibrare l’asimmetria strutturale del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore al fine di consentirgli una scelta di investimento realmente consapevole.
E’ stato altresì evidenziato che una presunzione legale può sorgere implicitamente non solo da una disposizione di legge ma anche da un complesso sistematico di disposizioni che la implichino in modo logicamente e giuridicamente necessario.
Dall’accertamento dell’inadempimento agli obblighi informativi deriva, quindi, una vera e propria presunzione di legge circa la sussistenza del legame causale tra di esso ed il danno patito dall’investitore (da quantificarsi in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell’acquisto e quello al momento della domanda risarcitoria).
La suddetta presunzione ha carattere relativo (iuris tantum), superabile, pertanto, se fornita prova contraria, gravante sull’intermediario finanziario. Tale prova consiste nella dimostrazione che il pregiudizio occorso all’investitore si sarebbe ugualmente verificato anche se avesse ricevuto le informazioni omesse. La pronuncia in esame ha il pregio di chiarire, anche sulla scorta di altre precedenti, che “quanto alla prova contraria, di cui è gravato l’intermediario, si è precisato che essa non possa consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati” (Cass. n. 18293/2023).
A fronte dei principi che precedono i giudici di legittimità hanno, quindi, censurato il ragionamento della Corte di merito – che aveva fondato il superamento della presunzione legale di sussistenza del nesso causale sulla alta propensione al rischio dell’investitore tout court – ed ha cassato la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Appello in diversa composizione.
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