21 Ottobre 2022
E’ escluso il ricorso immediato in Cassazione contro le sentenze non definitive endo-processuali
La Suprema Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 23907 del 2 agosto 2022, ha preso posizione in ordine ai presupposti applicativi della disciplina dell’impugnazione in Cassazione delle sentenze non definitive rese in grado di appello, a norma degli artt. 360 comma 3 e 361 del Codice di rito, come novellati dal D.lgs n. 40 del 2006.
In particolare, i giudici di legittimità hanno escluso l’immediata impugnabilità in Cassazione (con conseguente inammissibilità del ricorso eventualmente depositato) delle sentenze d’appello di carattere meramente endo-processuale, cioè quelle decisioni che non definiscono il processo avanti al giudice che le ha pronunciate, essendo la trattazione della causa destinata a proseguire dinanzi allo stesso in giudice in vista della decisione definitiva.
Dalla sentenza in commento si può schematicamente desumere quanto segue:
– le sentenze di cui all’art. 278 c.p.c. (sentenze di condanna generica) e quelle che decidono una o alcune delle domande di merito oggetto del giudizio, senza tuttavia definirlo, sono suscettibili – a discrezione della parte soccombente – di essere impugnate immediatamente, ovvero unitamente al provvedimento che definisce il giudizio (previa riserva di ricorso in Cassazione da avanzare tempestivamente);
– le sentenze che decidono su questioni interlocutorie di carattere endo-processuale non possono essere impugnate immediatamente, ma sono sottoposte ad una riserva ex lege di ricorso in Cassazione unitamente alla sentenza che definisce il giudizio e l’eventuale impugnazione immediata è inammissibile.
La natura interlocutoria, o meno, della decisione deve valutarsi con riferimento ad indici di carattere formale, desumibili dal contenuto intrinseco della sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite (in tal senso è espressa anche Cassazione a Sezioni Unite n. 10242/2021).
A livello sistematico si rileva l’asimmetria della disciplina dettata dagli artt. 360 comma 3 e 361 c.p.c. e quella contenuta nell’art. 340 c.p.c. afferente la riserva di appello avverso le sentenze non definitive di primo grado, ove è ammessa l’impugnazione immediata anche delle sentenze che decidono questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito.
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13 Ottobre 2022
Mediazione: improcedibilità e sanzioni per chi è assente senza giustificato motivo
La Corte d’Appello di Napoli, con la recente sentenza n. 3843 del 19.9.2022, ha dichiarato l’improcedibilità dell’impugnazione in ragione della mancata partecipazione personale dell’appellante al primo incontro di mediazione, giustificata sulla base di generici impedimenti, incontro cui ha preso parte il solo avvocato munito di mera procura alle liti e sprovvisto di procura sostanziale per la mediazione.
Nella sentenza in esame la Corte d’appello di Napoli, richiamando i principi enunciati dalla Cassazione (sent. n. 8473/2019 e n. 18068/2019), ha sottolineato che il successo dell’attività di mediazione è affidato al contatto diretto tra le parti e che il mediatore professionale, attraverso l’interlocuzione diretta e informale, può aiutare a trovare una soluzione. Di conseguenza, le parti che non possono o non vogliono partecipare alla mediazione possono farsi sostituire da un terzo, anche dal loro avvocato, che deve però essere munito di procura sostanziale specifica per il procedimento di mediazione che gli conferisca il potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto, non essendo sufficiente – al contrario – la procura alle liti che conferisce al difensore il potere di rappresentanza della parte in giudizio e non in un’attività esterna al processo qual è appunto la mediazione. La procura deve, inoltre, essere già presente nel momento in cui si svolge la mediazione, dovendosi escludere la possibilità di sanatorie ex post.
La pronuncia in commento, quindi, muove dalla valorizzazione della natura stessa della mediazione quale attività professionale finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca, da una parte, di un accordo amichevole per la composizione di una controversia e, dall’altra, al fine di formulare una proposta per la risoluzione della stessa.
A seguito della dichiarazione di improcedibilità dell’appello per mancato esperimento della mediazione, sono state altresì applicate le sanzioni pecuniarie previste dalla normativa con condanna delle parti che non hanno partecipato personalmente alla mediazione a versare una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Questa pronuncia si pone nel solco da qualche anno tracciato dal legislatore e seguito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, che vede nelle procedure per la risoluzione delle dispute alternative al giudizio (c.d. ADRs), tra cui in primis la mediazione, un importante strumento deflattivo dell’attività di Tribunali e Corti, conferendo alle stesse un ruolo sempre più importante e centrale nel nostro ordinamento. In questa direzione si pongono sia la riforma del processo civile che, in materia di mediazione, interviene su diverse parti del procedimento e fornisce indicazioni particolarmente restrittive, sia il nuovo Codice della Crisi d’Impresa con l’introduzione della composizione negoziata della crisi.
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5 Ottobre 2022
D.Lgs. 231: anche se il reato è prescritto deve essere accertata la responsabilità dell’ente
In tema di responsabilità degli enti ex D.L.gs.231/2001, anche nel caso in cui il reato presupposto contestato al legale rappresentate della società sia dichiarato estinto per prescrizione, il giudice deve comunque procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso.
Così si è espressa la Terza sezione dalla Cassazione Penale con la sentenza n.30685 del 4 agosto 2022, affermando che “in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, comma 1, lett. b), deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato”.
Viene quindi confermato anche in questa recente pronuncia l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte secondo cui “l’intervenuta prescrizione del reato non incide sulla piena cognizione giudiziale della responsabilità dell’ente”, che deve quindi essere sempre oggetto di accertamento da parte del giudice in tutti i suoi presupposti.
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30 Settembre 2022
Il Consiglio dei Ministri approva la riforma del processo civile
Via libera alla riforma della Giustizia proposta dal Ministro della giustizia Marta Cartabia. Il 28 settembre 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame definitivo, tre decreti legislativi di attuazione della riforma della giustizia civile e penale e dell’ufficio per il processo. I testi tengono conto dei pareri espressi dalle competenti Commissioni parlamentari.
La riforma interviene in modo radicale sulla struttura del processo civile, anticipando il contraddittorio tra le parti e le preclusioni istruttorie ad un momento antecedente rispetto alla prima udienza di comparizione, che diviene il fulcro del processo, concentrandosi in essa anche la decisione sull’ammissione delle prove. Si aggravano gli oneri a carico dei difensori delle parti nella fase introduttiva del giudizio, soprattutto per quanto riguarda l’articolazione dei mezzi di prova.
La riforma del processo civile è uno degli obiettivi concordati con l’Unione europea per accedere alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Con la legge n. 206 del 2021, il Parlamento ha previsto una delega al Governo per l’efficienza del processo civile e la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, nonché una serie di misure urgenti per la razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie e in ambito di esecuzione forzata.
In attuazione di tale delega, il 2 agosto 2022 il Governo ha trasmesso alle Camere lo schema di decreto legislativo A.G. 407, sul quale le commissioni competenti di Camera e Senato hanno espresso un parere favorevole, condizionato dall’accoglimento di una serie di rilievi (la Commissione Giustizia del Senato si è espressa il 13 settembre 2022; la Commissione Giustizia della Camera si è espressa il 15 settembre 2022).
L’iter procedimentale della riforma si è, infine, concluso nella giornata di ieri con l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, del decreto legislativo attuativo della legge delega n. 206 del 2021.
Lo schema di decreto legislativo sottoposto al Consiglio dei Ministri prevede l’entrata in vigore il 30 giugno 2023 e l’applicazione ai processi introdotti successivamente a tale data. Occorre, però, sottolineare che si tratta di una previsione suscettibile di modifica.
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22 Settembre 2022
Decreto trasparenza: cosa cambia nelle informazioni da fornire in sede di assunzione
Lo scorso 13 agosto è entrato in vigore il D.Lgs. 27 giugno 2022, n. 104 (c.d. Decreto Trasparenza) che attua la direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, volta a “migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più trasparente e prevedibile, pur garantendo nel contempo l’adattabilità del mercato del lavoro”. L’obiettivo è trasmettere comunicazioni chiare e trasparenti sugli elementi essenziali, le condizioni dei rapporti di lavoro e sulle relative tutele.
Tra le novità introdotte dal Decreto Trasparenza sono previsti nuovi adempimenti a carico dei datori di lavoro relativamente all’obbligo di informazione da fornire a diverse categorie di lavoratori (non più soltanto subordinati), in particolare in fase di assunzione. L’art. 4 del D.Lgs. n. 104/2022 riscrive, infatti, interamente i primi quattro articoli del D.Lgs. n. 152/1997 e amplia l’elenco di informazioni da rendere obbligatoriamente ai lavoratori al momento dell’assunzione. Non è consentito il rinvio alla legge e al contratto collettivo applicato dal datore di lavoro, sebbene ciò fosse possibile in base alla Direttiva europea.
Le informazioni obbligatorie dovranno, quindi, essere inserite nel contratto di assunzione ed essere comunicate a ciascun lavoratore in modo chiaro e trasparente, in formato cartaceo oppure in modalità elettronica o telematica (ovvero: via e-mail personale comunicata dal lavoratore; e-mail aziendale messa a disposizione dal datore di lavoratore; messa a disposizione sulla rete intranet aziendale dei relativi documenti tramite la consegna di password personale al lavoratore).
Il Decreto impone anche un obbligo di conservazione in capo al datore di lavoro che dovrà rendere accessibili le informazioni e custodire la prova della loro trasmissione o ricezione per la durata di cinque anni dalla conclusione del rapporto di lavoro. Nel caso in cui la documentazione non venisse conservata per la durata prevista dalla legge, si riterrà che gli obblighi di informazione siano omessi e quindi saranno applicate le sanzioni previste dall’art. 19 comma 2 del Dlgs. n. 276/2003 (sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.500 per ogni lavoratore interessato).
Già lo scorso 10 agosto 2022, con la circolare n.4, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro aveva fornito le prime indicazioni esplicative delle nuove norme. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il 20 settembre 2022 ha pubblicato la circolare n.19 in cui fornisce le prime indicazioni interpretative.
La circolare n.19 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali conferma che la ratio della riforma è quella di ampliare e rafforzare gli obblighi informativi, calandoli nella concretezza del rapporto di lavoro. L’obbligo informativo non è, quindi, assolto attraverso un astratto richiamo alla normativa che regola gli istituti oggetto dell’informativa, ma attraverso la comunicazione di come tali istituti si collocano concretamente, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro. Nello specifico, la circolare si sofferma sui nuovi obblighi informativi in ambito di congedi, retribuzione, orario di lavoro, previdenza e assistenza.
Bisogna, inoltre, considerare che ai fini dell’adempimento dei nuovi obblighi informativi introdotti dal D. Lgs. n. 104/2022, anche il regolamento aziendale può essere d’aiuto per il datore di lavoro. Ferma restando la consegna del contratto individuale o della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, la disciplina di dettaglio potrà essere comunicata attraverso il rinvio al regolamento aziendale, messo a disposizione del lavoratore attraverso le modalità proprie di ogni azienda.
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14 Luglio 2022
Il 15 luglio 2022 entra in vigore il Codice della crisi d’impresa: nuove misure di prevenzione e controllo e relative opportunità
Dal 15 luglio, il nuovo Codice della Crisi d’Impresa prende il posto della vecchia legge fallimentare. La data della sua entrata in vigore non è casuale: il 17 luglio 2022 è, infatti, l’ultimo giorno valido per il recepimento della Direttiva UE 2019/2023 cd. Insolvency. La definizione degli assetti organizzativi delle imprese e i segnali da individuare per prevenire le crisi d’impresa – da aggiornarsi e rivedere ogni 3 anni – sono già stati approvati dal Governo il 17 marzo, mentre l’introduzione dei nuovi sistemi di allerta è prevista per la fine del 2023.
Entrando nel merito delle nuove misure di prevenzione e di controllo previste dal Codice della crisi d’impresa, l’art. 3, relativo all’adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi, introduce l’obbligo per l’imprenditore individuale di «adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte». Per l’imprenditore collettivo si parla, invece, di obbligo di adottare «un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del Codice Civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative».
L’adeguatezza degli assetti organizzativi assume dunque un ruolo centrale, divenendo una pre-condizione per il tempestivo rilevamento della crisi. Ciò deve necessariamente stimolare gli imprenditori a valutare e, nel caso, ripensare la propria struttura interna anche in quest’ottica specifica. È ora, infatti, indispensabile, per espressa previsione di legge, adottare tutte le misure necessarie per intercettare i sintomi di crisi ovvero: rilevare in tempo la presenza di eventuali squilibri economico-finanziari o patrimoniali; verificare la sostenibilità dei debiti; controllare le prospettive di continuità di aziendale, che deve essere di almeno 12 mesi; effettuare il test per verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento.
Il quarto comma dell’art. 3 introduce, inoltre, ulteriori segnali di allerta quando si riscontra la presenza di: debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni, nel caso in cui siano di grandezza superiore alla metà dell’ammontare mensile totale; debiti verso i fornitori scaduti da almeno 90 giorni, se di valore superiore ai debiti non ancora scaduti; esposizioni scadute da oltre 60 giorni nei confronti di istituti di credito o altri intermediari finanziari, se di valore uguale o superiore al 5% del totale delle esposizioni; esposizioni debitorie descritte nell’articolo 25-novies, comma 1 del Codice della Crisi.
La prevenzione e gestione della crisi d’impresa rappresenta, quindi, una sfida ma anche un’opportunità, non solo per le imprese ma anche per i professionisti che sono chiamati a dare il proprio contributo. L’obiettivo è quello di improntare ab origine la governace verso un sistema che consenta di gestire in maniera più oculata le aziende italiane, potendo diagnosticare anticipatamente i sintomi di una crisi ed essere, quindi, nelle condizioni di affrontarli in maniera più tempestiva e mirata, nell’interesse di tutti gli stakeholders coinvolti.
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8 Luglio 2022
Il nuovo regolamento UE di esenzione (VBER) e le linee guida per gli accordi verticali
Il Regolamento della Commissione europea n. 2022/720 – The Vertical Block Exemption Regulation (VBER) – è entrato in vigore il 1° giugno 2022 e sarà la disciplina di riferimento nella valutazione degli accordi verticali per i prossimi anni.
Il nuovo quadro legislativo si propone di proteggere la concorrenza all’interno del Mercato Unico Europeo, fornendo alle imprese alcune regole per valutare la compatibilità dei propri accordi di fornitura e distribuzione con le norme dell’UE in materia di concorrenza, in un mercato ridisegnato dalla crescita del commercio elettronico. La Commissione europea ha pubblicato anche la nuova versione delle Linee Guida in materia di accordi verticali che forniscono indicazioni anche su come interpretare e applicare il Regolamento.
Il VBER e le sue Linee Guida forniscono un quadro importante per gli accordi verticali, per tali intendendosi le intese tra imprese attive nei diversi livelli della catena produttiva (tra cui contratti di distribuzione selettiva e non, franchising, etc), stabilendo, da un lato, specifici divieti o obblighi a tutele della concorrenza nel mercato interni ma, dall’altro, prevedendo una zona di sicurezza, detta “safe harbour” (porto sicuro), all’interno tali divieti ed obblighi non operano.
Il nuovo Regolamento conferma la soglia di “safe harbor” al 30% del mercato rilevante: pertanto, se la quota di mercato di produttore e distributore nel mercato di riferimento è inferiore a tale soglia, si presume che i loro accordi siano leciti. Tale presunzione di liceità non opera in presenza di c.d. “hard-core restrictions” e cioè di restrizioni fondamentali vietate tout court dal Regolamento.
Le novità principali del nuovo Regolamento consistono i) nella maggior tutela offerta a sistemi di distribuzione selettiva, ii) nell’ampliamento delle ipotesi in cui il produttore, nell’ambito di sistemi di distribuzione esclusiva, può stabilire il divieto di vendite attive in un certo territorio o a determinati gruppi di clienti e iii) nell’introduzione della facoltà del produttore di imporre talune restrizioni anche nell’ambito di sistemi di distribuzione libera.
Il nuovo Regolamento ha affrontato specificamente il tema della c.d. duplice distribuzione (quando un fornitore vende i propri beni o servizi sia tramite distributori indipendenti sia direttamente ai clienti finali) disciplinando espressamente anche l’aspetto del flusso informativo e distinguendo tra informazioni da considerarsi necessarie per lo svolgimento del rapporto e altre che non lo sono.
La crescente importanza del fenomeno delle vendite on-line ha spinto la Commissione Europea a introdurre previsioni specifiche al riguardo. In particolare, confermato che qualunque divieto esplicito del fornitore alle vendite on-line dei propri distributori è considerato “hard-core restriction” e quindi sempre vietato, è stato ora previsto nè la doppia tariffazione (prezzi diversi tra on-line e off-line) né l’imposizione di criteri per le vendite on-line non equivalenti a quelli per punti vendita fisici siano più considerate vietate tout court sempre che non abbiano come obiettivo specifico quello di ostacolare le vendite on-line o cross-border.
Particolare attenzione è stata dedicata agli obblighi di parità che richiedono a un venditore di offrire alla sua controparte condizioni uguali o migliori di quelle offerte sui canali di vendita di terzi, come altre piattaforme, e/o sui canali di vendita diretta del venditore, come ad esempio il sito web. Il Regolamento ha escluso dall’ambito di applicazione dell’esenzione gli obblighi diretti o indiretti che impediscano agli acquirenti di servizi di intermediazione online di offrire, vendere o rivendere beni o servi agli utenti finali a condizioni più favorevoli attraverso servizi di intermediazione online concorrenti. E’ stata inoltre introdotta un’articolata disciplina specifica per i diversi tipi di clausola di questo genere.
La Commissione ha inoltre chiarito nelle linee guida che le piattaforme online non sono considerate agenti di commercio ai fini del regolamento e non sono quindi soggette al privilegio dell’agente di commercio.
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21 Giugno 2022
Con la riforma Cartabia dal 22 giugno cambia il pignoramento presso terzi
Per effetto della riforma del processo civile del Ministro Cartabia, dal 22 giugno 2022 cambia anche il pignoramento presso terzi.
Entrano, infatti, in vigore le modifiche all’art. 543 c.p.c. che impongono al creditore di notificare al debitore e al terzo anche l’avviso dell’iscrizione a ruolo e di depositare poi l’atto notificato nel fascicolo dell’esecuzione entro l’udienza di comparizione come indicata nell’atto.
Ciò significa che debitore e terzo devono essere messi al corrente del numero di iscrizione della procedura, pena la non efficacia del pignoramento. Nel caso in cui il pignoramento sia eseguito nei confronti di più soggetti terzi esso sarà inefficace solo nei confronti di coloro ai quali non sia stato notificato o non risulti depositato nel fascicolo l’avviso di iscrizione a ruolo. Se, invece, la notifica viene omessa, debitore e terzo sono liberati dagli obblighi a loro carico derivanti dal pignoramento a partire dalla data dell’udienza che il creditore ha indicato nell’atto.
Infine, cambia anche il Foro competente nel caso in cui il debitore sia una P.A. Dal 22 giugno 2022, infatti, sarà introdotto l’art. 26 bis c.p.c. che al primo comma prevedrà che sarà competente per l’esecuzione forzata il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. Cessa, in questo modo, la competenza del giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede nei casi in cui il debitore sia un P.A.
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9 Giugno 2022
Antiriciclaggio: via libera al Registro dei titolari effettivi
Dopo tanti anni di attesa anche l’Italia avrà così il proprio Registro dei Titolari Effettivi, lo scorso 25 maggio, infatti, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (121 del 25 maggio 2022), il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 11 marzo 2022 n°55 che stabilisce le disposizioni in tema di comunicazione, accesso, e consultazione dei dati e delle informazioni relative alla titolarità effettiva di imprese, trust e istituti giuridici affini.
L’istituzione del Registro dei Titolari effettivi sancirà l’adesione del nostro Paese al c.d. sistema BORIS “Beneficial Ownership Registers Interconnection System”, avviato con il Regolamento UE 369/2021, allo scopo di garantire maggiore trasparenza ed efficienza a livello comunitario degli interventi volti a prevenire i fenomeni di riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.
Le informazioni contenute nel Registro saranno accessibili, non solo alle Autorità competenti antiriciclaggio, ma anche – previo accredito – ai soggetti obbligati alle disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n° 231/07, i quali potranno usufruire di uno strumento operativo in più per gli adempimenti di adeguata verifica della clientela.
Per l’effettivo avvio del Registro sarà necessaria l’adozione di provvedimenti attuativi da parte del Ministero dello Sviluppo Economico destinati a disciplinare alcuni aspetti tecnici e operativi.
Una volta operativo il Registro, saranno tenuti a comunicare le informazioni sui titolari effettivi: i) le imprese dotate di personalità giuridica tenute all’iscrizione nel Registro Imprese ai sensi dell’art. 2188 c.c., ii) le persone giuridiche private tenute all’iscrizione nel Registro di cui al Dpr n. 361/2000 e iii) i trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali, le cui informazioni saranno conservate in apposite sezioni speciali del Registro Imprese.
L’obbligo di comunicare al Registro Imprese le informazioni sui titolari effettivi dovrà essere ottemperato entro 60 giorni dal provvedimento con cui il Ministero summenzionato attesterà l’operatività del Registro.
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26 Maggio 2022
Crypto currencies and digital wallets: new rules for the providers on the Italian territory
May 16th 2022 has been a crucial date for providers of services related to the use of virtual currency or of digital wallet, operating or intending to operate on the Italian territory: it was the kick-off date of the new register, kept by the “Organismo per gli Agenti e Mediatori”, where all such providers are obliged to be registered, as a consequence of the entry into force of the new Decree of the MEF (Italian Minister of Economics and Finance) of 13 January 2022, published on 17 February 2022 (the “Decree”).
As a direct consequence, it is no longer permitted for foreign operators to operate across borders into Italy: a prerequisite for registration for any provider – other than natural persons – is to have a registered and administrative office or, for EU entity, a permanent establishment in Italy.
The new regulation covers all platforms used to offer to third parties, on a professional basis, services involving cryptocurrencies, with the exception of the activity of merely issuing virtual currencies on one’s own account, which, if not carried out on a professional basis and on behalf of customers, is not in itself sufficient to qualify operators as service providers relating to the use of virtual currency.
One of the key pre-requirements which triggers the duty to be registered in the Register is that the relevant services are provided in the Italian territory. The regulation expressly clarifies that for the purposes of this pre-requirement the provision may take place also through the internet, through websites or apps.
Operators who, on the date of entry into force of the Decree, were already active in Italy must make the same communication within 60 days from May 16th and therefore within July 15th 2022.
The Decree also introduces reporting obligations on the part of cryptocurrency and digital wallet service providers, which will be in addition to the obligations already required for anti-money laundering purposes.
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17 Maggio 2022
12th Annual Global Investor Loss Recovery Conference
On 12 and 13 May 2022, Cino Raffa Ugolini, Partner of Lègister, attended the 12th Annual Global Investor Loss Recovery Conference in Frankfurt.
The Conference presented the latest trends of the global market of securities and antitrust litigation and allowed to get in touch an international and experienced audience.
Our partner Cino Raffa Ugolini contributed as speaker on securities litigation developments in the light of the Italian regulations and case law.
The Conference is a reference point for Lawyers, In-House Legal Counsels, Institutional Investor Representatives and Advisors and well as Mutual Fund and Investment Companies, working in the field of client-oriented global loss recovery, but also for those dealing with ancillary claims to class actions and for support in group actions.
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12 Maggio 2022
Nuova acquisizione societaria nel settore industriale
Il Partner Avv. Laurent Scarna ha assistito un importante Gruppo industriale francese nell’acquisizione di una partecipazione di maggioranza nel capitale di una società lombarda operante nel settore della produzione, revisione e retrofitting di presse per lo stampaggio ad iniezione di plastica, gomma e resine termoindurenti.
L’Associé Me Laurent Scarna a assisté un important groupe industriel français dans l’acquisition d’une participation majoritaire dans le capital d’une société lombarde opérant dans le secteur de la production, révision et retrofitting de presses pour le moulage par injection des matières plastiques, de caoutchouc et de résines thermodurcissables.
The Partner Laurent Scarna assisted an important French industrial group for the acquisition of a majority stake in the capital of a company in Lombardy operating in the production, servicing and retrofitting of presses for the injection moulding of plastics, rubber and thermosetting resins.
6 Maggio 2022
Novità UE per i lavoratori entro il 1° agosto 2022
Lo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea è attualmente all’esame della Camera dei Deputati. Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 1° agosto 2022.
Il decreto introduce disposizioni sui diritti minimi e sulle informazioni da fornire ai lavoratori in merito alle rispettive condizioni di lavoro, con l’obiettivo di rispondere alle nuove sfide del mercato del lavoro legate agli sviluppi demografici, alla digitalizzazione e a nuove forme di lavoro.
Nello specifico, la direttiva si propone di migliorare: l’accesso dei lavoratori alle informazioni concernenti il loro contratto di lavoro; le condizioni di lavoro di tutti i lavoratori, con particolare riferimento alle tipologie di lavoro non standard, salvaguardando, allo stesso tempo, l’adattabilità e l’innovazione del mercato del lavoro; il rispetto delle norme in materia di condizioni di lavoro, mediante un rafforzamento delle misure di tutela a ciò preposte; la trasparenza nel mercato del lavoro, evitando di imporre oneri eccessivi alle imprese di qualsiasi dimensione.
In particolare, riportiamo l’attenzione sui seguenti articoli:
- l’articolo 7, nel recepire l’articolo 8 della direttiva 1152/2019, detta alcuni principi in materia di periodo di prova, confermandone la durata in un termine non superiore a 6 mesi (salvo minor durata prevista dai CCNL). In particolare, viene codificato il principio per cui eventuali assenze del lavoratore durante il periodo di prova ne estenderanno la durata in misura proporzionale. Inoltre, è stata introdotta la regola per cui nei rapporti di lavoro a tempo determinato, la durata del periodo di prova dovrà essere proporzionale alla durata prevista del contratto ed alla “natura dell’impiego”.
- l’art. 8, nel recepire l’articolo 9 della direttiva 2019/1152, sancisce il principio secondo cui un datore di lavoro non possa di norma vietare ad un lavoratore di svolgere un impiego parallelo al di fuori dell’orario di lavoro stabilito, né per tale motivo riservargli un trattamento meno favorevole.
- l’art. 9 recepisce il corrispondente articolo 10 della direttiva 2019/1152 e sancisce il principio della prevedibilità minima dell’orario di lavoro per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione ex art. 2 D. Lgs n. 81/2015, ovvero di agenzia e/o rappresentanza commerciale, si svolga secondo modalità organizzative in tutto o in gran parte imprevedibili.
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28 Aprile 2022
Social scoring: il consenso investe anche l’algoritmo
La Corte di Cassazione interviene sul c.d. “social scoring”, ossia l’uso di sistemi informatici per la valutazione dell’affidabilità delle persone fisiche.
Con l’ordinanza 14381/21 esprime infatti un principio che si preannuncia di rilievo anche in relazione a futuri sviluppi della frontiera dell’intelligenza artificiale: “il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato; ne segue che nel caso di una piattaforma web preordinata all’elaborazione di profili reputazionali di singole persone incentrata su un sistema di calcolo con alla base un algoritmo finalizzato a stabilire i punteggi di affidabilità, il requisito di consapevolezza non può considerarsi soddisfatto ove lo schema dell’algoritmo e gli elementi di cui si compone restino ignoti o non conoscibili da parte degli interessati”.
Dunque, ancora una volta il focus è sul consenso informato, che deve essere pienamente libero, specifico e consapevole, anche se nel caso di specie potrebbero emergere criticità su come il principio possa tradursi concretamente rispetto al grado di conoscenza che un soggetto non qualificato possa avere di un algoritmo. Resta il fatto che sul versante del titolare incombe comunque l’onere di predisporre un’informativa che dia adeguato conto del processo informatico alla base della valutazione.
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21 Aprile 2022
Conflitto d’interesse dell’amministratore e annullabilità del contratto dallo stesso concluso
Nella recente sentenza del 5 gennaio 2022, la Corte di Cassazione ha chiarito che in caso di conflitto di interesse dell’amministratore la disciplina applicabile non va ricercata solo nell’art. 2391 c.c. ma, a seconda dei casi, può rilevare anche il disposto dell’art. 1394 c.c., con conseguente possibilità per la società di ottenere l’annullamento del contratto concluso dal suo amministratore in conflitto di interesse se tale conflitto era conosciuto o conoscibile al terzo contraente.
In particolare, è stato precisato che “nell’ipotesi prefigurata dall’art. 2391 c.c. il conflitto emerge in sede deliberativa e, quindi, in un momento anteriore a quello in cui l’atto viene posto in essere, in nome della società, nei confronti del terzo, e tocca, pertanto, l’esercizio (non già del potere rappresentativo, che si puntualizza nella spendita del nome della società verso i terzi) ma del potere di gestione, il cui esercizio, data la struttura dell’organo amministrativo, si estrinseca in deliberazioni collegiali”. Qualora, invece, il compimento di un atto posto in essere dal singolo amministratore non sia preceduto da una delibera consigliare, non sussistendo i presupposti per applicare l’art. 2391 c.c., la rilevanza del conflitto d’interesse dell’amministratore sulla validità del negozio deve essere disciplinata dai principi generali dettati dall’art. 1394 c.c.. Ciò può accedere nei casi in cui, pur essendovi il consiglio di amministrazione, l’operazione da compiere sia devoluta alla specifica competenza di uno soltanto dei suoi componenti (l’amministratore delegato) che abbia il potere di agire a firma singola ovvero quando il singolo amministratore ponga in essere, in mancanza di una delibera del consiglio di amministrazione, un atto che rientri, invece, nella competenza di tale organo
E’ stato, infine, sottolineato che “il conflitto d’interessi idoneo, ai sensi dell’art. 1394 c.c., a produrre l’annullabilità del contratto, richiede l’accertamento dell’esistenza di un rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante, da dimostrare non in modo astratto od ipotetico ma con riferimento al singolo atto o negozio che, per le sue intrinseche caratteristiche, consenta la creazione dell’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro”.
5 Aprile 2022
E’ valido il contratto bancario di investimento anche quando denominato dalle parti “Assicurazione sulla vita”
Un contratto bancario chiamato dal punto di vista formale “assicurazione sulla vita” può avere una finalità d’investimento se le parti hanno raggiunto l’accordo sulla sostanza del negozio: lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 9446/22.
Nel caso di specie, un soggetto aveva stipulato con una società bancaria un contratto qualificato come “assicurazione sulla vita”, il quale stabiliva che il premio versato fosse investito in fondi speculativi, senza prevedere un rendimento minimo, né la garanzia di restituzione di almeno il capitale investito. I due fondi, ai quali era stato indirizzato il premio, erano nel tempo divenuti illiquidi. Quando l’attore ha esercitato il diritto di riscatto, ha ricevuto una somma notevolmente inferiore rispetto a quanto investito. Per tale motivo ha chiesto che fosse dichiarato nullo il contratto per violazione delle norme che disciplinano gli obblighi informativi precontrattuali e quelli di diligenza gravanti sugli intermediari. Nei precedenti gradi di merito la richiesta è stata respinta. Per tale motivo, l’attore ha presentato ricorso in Cassazione denunciando che, pur avendo stipulato un contratto formalmente chiamato di “assicurazione”, si trattava di un contratto di investimento che, di conseguenza, fosse nullo.
La Cassazione ha rigettato l’appello, sancendo che il contratto di investimento è valido e lecito e non diventa nullo solo perché le parti lo abbiano qualificato “assicurazione sulla vita”, condizione che esso non contrasti con norme imperative o, se l’erronea qualificazione formale, non abbia tratto in inganno le parti. Una circostanza che in questo caso non è avvenuta in quanto l’attore era consapevole fin dall’inizio della tipologia di contratto che andava a firmare.
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8 Marzo 2022
Il recesso del socio nelle Spa e l’elemento temporale della durata della società
Nella recentissima sentenza n. 6280/2022 del 24.2.2022 la Corte di Cassazione si è occupata del tema del rilievo dell’elemento temporale della durata della società rispetto al diritto di recesso spettante ai soci di S.p.a. L’occasione è stata data dalla causa promossa da un socio di una S.p.a. che non aveva partecipato alla delibera dell’assemblea straordinaria con cui la durata della società era stata abbreviata dal 2100 al 2040 e per tale ragione aveva esercitato il diritto di recesso ex art. 2473 c.1 let. e) sostenendo che in tal modo fosse stata di fatto eliminata l’ipotesi di recesso prevista dal secondo comma di detta norma (i.e. proroga della durata della società).
In primo luogo, è stato chiarito che, trattandosi di S.p.A., le fattispecie per le quali è riconosciuto il diritto di recesso per il socio che non abbia concorso all’approvazione delle deliberazioni indicate nell’art. 2437 c.c. (o nei casi previsti statutariamente – ove consentito -), sono di STRETTA INTERPRETAZIONE. Ciò in ragione del fatto che il diritto di recesso è concepito dal sistema del codice civile come estremo, ma efficace, strumento di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell’operazione cui partecipa, la cui disciplina tuttavia è conformata in modo da contemperare tale tutela con il favore verso la realizzazione e la stabilità dell’aggregazione societaria e delle sue risorse. Ciò anche al fine di evitare il depauperamento del patrimonio sociale e, conseguentemente, della garanzia che questo realizza per i creditori sociali.
Con specifico riferimento al rapporto tra la durata della società per azioni, la sua modifica ed il diritto di recesso, va osservato che l’elemento temporale rileva normativamente in due ipotesi. La prima riguarda – NON già la RIDUZIONE, ma – la proroga della durata della società, per la quale è prevista una autonoma causa di recesso, derogabile statutariamente (comma 2). La seconda concerne il caso delle società costituite a tempo indeterminato non quotate su mercati regolamentari, situazione in relazione alla quale, a prescindere dall’adozione di una qualsivoglia deliberazione, è riconosciuto il diritto di recesso ad nutum (comma 3), direttamente connesso alla durata indeterminata statutariamente prevista per la società e non alla modifica della stessa; sul piano della modifica della durata rileva, invero, solo la proroga (comma 2), mentre l’opposta ipotesi della riduzione della durata non è fonte di alcun autonomo diritto di recesso per il socio, né può dedursi dalla facoltà prevista dal comma 3.
Nel caso di specie l’applicabilità dell’art. 2437 c.c. è stata, dunque, esclusa perché la fattispecie in esame non rientrava in nessuna delle due ipotesi summenzionate.
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21 Febbraio 2022
I compensi degli avvocati: come cambiano i parametri per la loro determinazione?
Gli attuali parametri forensi, in vigore da ormai otto anni, non sono più adeguati all’aumento medio del costo della vita. Con questa premessa il Consiglio Nazionale Forense, con Delibera del 9.2.2022, n. 535 ha approvato in via definitiva la proposta di modifica al D.M. 55 del 2014, in un testo che dovrà essere inviato al Ministero della Giustizia, insieme alle osservazioni raccolte all’esito della consultazione dei Consigli dell’ordine e delle associazioni forensi più rappresentative.
L’art. 1 del nuovo testo proposto dal CNF, prevede l’incremento dei valori parametrici in rapporto all’aumento medio del costo della vita, mentre l’art. 2 fa riferimento all’adozione di un’unica percentuale per regolare gli aumenti e le diminuzioni dei valori base dei parametri, individuando la percentuale del 50%.
Con l’occasione, il CNF è anche intervenuto su una serie di questioni aperte, a partire dalla mancanza di una soglia economica di riferimento nel caso in cui l’avvocato ed il cliente pattuiscano una tariffa a tempo. Si tratta di una pratica da tempo utilizzata nel mondo anglosassone e ormai diffusa anche in Italia soprattutto nei rapporti tra gli avvocati e le imprese. A questo proposito, il CNF ha proposto di introdurre un nuovo articolo art. 27 bis, fissando la tariffa da un minimo di 200 euro e un massimo di 500 per ora o frazione di ora.
Tra le altre questioni, la proposta di una tabella ad hoc per le procedure concorsuali e del 30% per l’opera svolta per mediazione e negoziazione assistita, ambiti che stanno assumendo sempre maggiore rilievo nell’attività forense.
Per un approfondimento si rinvia all’estratto della delibera del CNF n. 54-A, relativo alla seduta amministrativa del 9 febbraio 2022.
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14 Febbraio 2022
Responsabilità del datore di lavoro per infortunio con macchinario in comodato
Il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare la sicurezza e l’adeguatezza funzionale dei macchinari ricevuti in comodato, rispondendo dell’infortunio occorso ad un dipendente durante il loro utilizzo, se dipeso dalla mancanza dei requisiti richiesti.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione Penale con l’ordinanza 9.12.2021 n. 45382: nello specifico, il Supremo Collegio ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato dal datore di lavoro ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 590 c.p., per l’infortunio accaduto ad un proprio dipendente durante l’utilizzo di un pantografo in comodato d’uso, risultato privo delle protezioni infortunistiche richieste dalle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro.
In proposito è bene peraltro ricordare come l’art. 23 del D. Lgs. n. 81/2008 vieti espressamente, fra l’altro, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro; la giurisprudenza, anche in tal caso, è del resto unanime nel ritenere che eventuali clausole di esonero dalla responsabilità contenute in un contratto di comodato non possano in alcun modo validamente escludere possibili conseguenze di rilievo penale in capo al concedente in uso in ipotesi di macchinari non a norma.
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4 Febbraio 2022
Debiti tributari: il legale rappresentante salvo solo se estraneo alla gestione
Con l’ordinanza n°2953 depositata il 1° febbraio, la Corte di Cassazione ha chiarito che il legale rappresentante di un’associazione risponde solidalmente dei debiti tributari della stessa a meno che dimostri di essere rimasto estraneo all’attività di gestione nel corso del periodo di imposta.
La Corte ha specificato, infatti, che i debiti tributari non sorgono su base negoziale ma per legge al verificarsi del relativo presupposto, con la conseguenza di coobbligare il legale rappresentante, il cui ruolo riguarda la complessiva gestione dell’Ente nel periodo di imposta, sia per le sanzioni, sia per i tributi non corrisposti.
L’Ufficio che richiede la solidarietà nel pagamento è, in ogni caso, tenuto a provare la qualità di rappresentante e/o di gestore dell’attività dell’associazione al soggetto che può, da parte sua, dimostrare la propria estraneità alla partecipazione e gestione dell’associazione.
Sempre la Corte ha inoltre chiarito che il legale rappresentante può, comunque, legittimamente impugnare, unitamente alla cartella, anche gli atti presupposti non notificatigli personalmente: tale principio fa da contrappeso al fatto che non esiste un obbligo per l’Ufficio di notificare l’atto anche all’obbligato solidale.
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