2 Marzo 2023
La nuova negoziazione assistita nelle controversie giuslavoristiche
Con la riforma del processo civile viene introdotto l’art. 2-ter del D.L. 132/2014 rubricato “negoziazione assistita nelle controversie di lavoro”, che estende la possibilità per le parti di ricorrere alla negoziazione assistita in relazione alle cause di lavoro previste dall’art. 409 c.p.c., tenendo fermo quanto disposto dall’art. 412-ter c.p.c. con riferimento alle modalità di conciliazione ed arbitrato. La nuova disposizione di legge sarà applicabile ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio.
La finalità del legislatore
L’obiettivo della riforma è quello di deflazione del contenzioso, anche per le controversie di lavoro. La negoziazione assistita, infatti, consente al prestatore di lavoro di disporre dei propri diritti, anche se derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi collettivi, ma a patto che vi sia l’assistenza di almeno un avvocato per ciascuna parte e quella eventuale di un consulente del lavoro. Può svolgersi, con le dovute garanzie, anche a distanza mediante l’utilizzo di sistemi audiovisivi ed informatici.
Si tratta di uno strumento facoltativo, non costituendo condizione di procedibilità in giudizio.
Accordo e trasmissione
L’accordo raggiunto a seguito della negoziazione assistita è inoppugnabile ai sensi del comma 4 dell’art. 2113 del Codice civile. La legge lo equipara alle conciliazioni svolte nelle c.d. sedi “protette”, ovvero quei luoghi che garantiscono presuntivamente la genuinità e spontaneità del consenso del lavoratore. Ci riferiamo alla sede giudiziale, qualora sia intrapresa una causa, alla sede sindacale, alla Commissione di Conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro e al Collegio di Conciliazione e Arbitrato.
La normativa prevede, infine, che l’accordo debba essere trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni ad una delle commissioni di certificazione, di cui all’art. 76 del decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276.
Sotto un profilo operativo, si osserva che la possibilità di concludere transazioni non impugnabili ai sensi dell’art. 2113 comma 4 c.c. tramite lo strumento della negoziazione assistita, consentirebbe alle parti di evitare le incertezze applicative derivanti dagli orientamenti della giurisprudenza che hanno messo in discussione la validità degli accordi raggiunti avanti a sedi sindacali non rappresentative secondo i CCNL di riferimento.
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17 Febbraio 2023
Non è rilevabile d’ufficio l’insussistenza dei presupposti per la cancellazione di una società dal registro delle imprese
La seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 3653 del 7 febbraio 2023 ha chiarito che chiunque vi abbia interesse può agire in giudizio per far accertare, con forza di giudicato, l’insussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la cancellazione di una società dal Registro delle Imprese.
Tale accertamento può essere finalizzato a proporre un’azione nella quale la società cancellata sia l’unica parte passivamente legittimata (come nel caso di impugnativa di compravendita immobiliare per nullità, simulazione, revoca di cui sia parte la società cancellata) ovvero litisconsorte necessaria del relativo giudizio (come nell’azione di simulazione o nell’azione di revoca della vendita dello stesso bene in favore di terzo).
Quanto precede è possibile anche se il giudice del registro delle imprese abbia già ritenuto, in sede camerale, la sussistenza dei requisiti per la cancellazione e non abbia, quindi, ordinato, a norma dell’art. 2191 c.c., la cancellazione d’ufficio dell’intervenuta cancellazione volontaria della società dal registro stesso.
Ricordato che tale interesse ad agire non sussiste qualora si proponga meramente un’azione di riscossione di un credito maturato nei confronti della società cancellata, per la quale sono passivamente legittimati i suoi ex soci (che ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali: Cass. SU n. 6070 del 2013), nella recente sentenza in commento si chiarisce che l’insussistenza dei presupposti per la cancellazione della società non può essere rilevata – incidentalmente – d’ufficio dal giudice adito per le azioni proposte verso la società cancellata.
La fattispecie oggetto del giudizio di legittimità
Il curatore di un’eredità giacente agiva in giudizio per sentir dichiarare la nullità di un atto di vendita immobiliare compiuto dal de cuius in favore di una società in liquidazione. Si costituiva in giudizio il cessato liquidatore della società convenuta eccependo, tra l’altro, l’inammissibilità di ogni azione nei confronti della stessa poiché ormai cancellata dal registro delle imprese.
Il Giudice di primo grado accoglieva l’eccezione rilevando come la società risultasse estinta prima dell’avvio del giudizio. L’attore soccombente proponeva appello, lamentando che il Tribunale non avesse correttamente considerato la domanda di revoca della cancellazione della società convenuta, ai sensi dell’art. 2191 c.c. La Corte di Appello dichiarava inammissibile il motivo di gravame del curatore in quanto fondato su una domanda tardivamente proposta nel giudizio di prime cure solo in comparsa conclusionale.
Il curatore dell’eredità giacente ricorreva in Cassazione censurando la sentenza di appello in quanto non avrebbe considerato che a fronte della domanda di nullità di un contratto, il Giudice deve incidentalmente rilevare, anche d’ufficio, l’inefficacia giuridica della delibera di estinzione che la società acquirente ha illegittimamente assunto per sottrarsi al giudizio.
La decisione della Corte di Cassazione
Secondo la Suprema Corte, a seguito dell’intervenuta iscrizione della cancellazione di una società dal registro delle imprese, chiunque vi abbia interesse può agire in giudizio in sede ordinaria per far accertare, con forza di giudicato, l’insussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la cancellazione medesima, se del caso cumulando detta azione con altra domanda cui sia strumentale, come ad esempio quella dell’impugnazione di un contratto del quale la società cancellata sia stata parte. In tal caso la società sebbene già cancellata è passivamente legittimata ovvero litisconsorte necessaria del relativo giudizio (cfr. Cass. n. 19804/2016, con riferimento all’azione di nullità proposta da un terzo; Cass. n. 10151/2004, con riguardo all’azione di simulazione assoluta o relativa; Cass. n. 11150/2003, con riguardo all’azione revocatoria ordinaria).
Precisano, però, i Giudici di legittimità che è preciso onere della parte che ne abbia interesse e legittimazione proporre tempestivamente tale azione, nel rispetto delle preclusioni del codice di rito, non potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 99 c.p.c.). Ciò chiarito, la Corte, rilevato che non risulta provata la tempestività della domanda in questione formulata dal curatore nel primo grado di giudizio, conferma la sentenza della Corte d’Appello e respinge il ricorso.
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3 Febbraio 2023
Mediazione: chi deve provare l’accordo di riduzione della provvigione e quando il mediatore ha diritto ad essere pagato
È in capo al cliente convenuto l’onere di provare che ci sia stato un accordo di riduzione della provvigione dovuta al mediatore rispetto alle tariffe prodotte in giudizio da quest’ultimo. Inoltre, la sola sottoscrizione della proposta d’acquisto non è sufficiente perché sorga il diritto al pagamento della provvigione dovuta al mediatore.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione civile sez. II, nella recente sentenza 26/01/2023, n.2385, affrontando due temi di particolare interesse in materia di mediazione:
- il riparto dell’onere probatorio in merito alla sussistenza di un accordo di riduzione della provvigione rispetto alle tariffe allegate dall’agenzia immobiliare
- se la sottoscrizione della proposta d’acquisto sia sufficiente a determinare l’insorgenza del diritto del mediatore al pagamento della provvigione
Sotto il primo profilo la Suprema Corte ha confermato la decisione di appello, sostenendo che l’accordo di riduzione della provvigione intercorso tra le parti rappresenta un fatto impeditivo di efficacia delle tariffe allegate dal mediatore. Pertanto, considerato il disposto dell’art. 2697 c.c. comma 2, a norma del quale chi eccepisce l’inefficacia dei fatti costitutivi dell’altrui diritto deve provare i fatti sui quali l’eccezione si fonda, il cliente convenuto è tenuto a provare l’accordo di riduzione della provvigione, diversamente l’ammontare del credito del mediatore andrà calcolato sulla base della percentuale indicata nelle tariffe prodotte in giudizio.
Per quanto attiene, invece, al momento di insorgenza del diritto del mediatore al pagamento della provvigione, nella pronuncia in commento, la Cassazione afferma che la sottoscrizione della sola proposta d’acquisto non dà diritto alla provvigione per l’attività di mediazione.
Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. È invece da escludere il diritto alla provvigione qualora tra le parti si sia costituito soltanto un vincolo idoneo a dare impulso alle successive articolazioni del procedimento di conclusione dell’affare, come è accaduto nel caso sottoposto all’attenzione della Corte con la sottoscrizione della proposta d’acquisto.
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27 Gennaio 2023
Responsabilità da cose in custodia: risarcimento del danno e condotta colposa della vittima
La recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 37724 del 23/12/2022 fornisce l’occasione per affrontare il dibattuto tema del rilievo che il comportamento colposo del danneggiato può assumere nell’ambito della disciplina di cui all’art. 2051 c.c., argomento oggetto di innumerevoli pronunce della Suprema Corte, in aperto o larvato disaccordo tra loro.
Il caso
La precitata ordinanza ha ad oggetto una domanda di risarcimento dei danni avanzata nei confronti di un ente territoriale, gestore del teatro locale, dove all’esito di uno spettacolo il ricorrente cadeva dalle ripide scale della galleria, i cui primi gradini avevano un calpestio molto stretto, non vi era corrimano e nemmeno strisce antiscivolo.
La pronuncia della Cassazione
La Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato le domande del danneggiato, affermando che il sinistro fosse da ricondurre a responsabilità esclusiva dell’attore che non aveva adottato una condotta prudente e consona allo stato dei luoghi. A sostegno della decisione viene richiamato l’orientamento di legittimità per cui la condotta colposa del danneggiato può interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
I diversi orientamenti della giurisprudenza
Si tratta di una pronuncia che sembra non prendere in considerazione una tesi condivisa da numerose decisioni della Suprema Corte, secondo la quale, per elidere il nesso causale fra la cosa e il danno, non sia sufficiente l’accertamento di una condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una cesura rispetto alla serie causale riconducibile alla cosa (degradandola al rango di mera occasione dell’evento di danno) (in tal senso da ultimo Cass. civ. sez. III – 19/12/2022 n. 37059).
Secondo l’orientamento in commento, dunque, l’esclusione della responsabilità del custode – quando viene eccepita la colpa della vittima – esige un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile e prevenibile dal custode.
La condotta della vittima d’un danno da cosa in custodia può integrare il caso fortuito e dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata. Stabilire se un determinato comportamento del danneggiato fosse prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito: ma il giudice di merito non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima.
Il rilievo della condotta colposa della vittima ex art. 1227 c.c.
Peraltro, anche la prevedibilità e prevenibilità del sinistro non esclude che la condotta colposa della vittima – ancorché non integrante il fortuito – non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma questo non può avvenire all’interno del paradigma dell’art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell’art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell’accertamento del concorso colposo del danneggiato. Elemento valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227 c.c., comma 1), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l’attore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (ex art. 1227 c.c., comma 2), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un’espressa eccezione della controparte (ex multis Cassazione Civile, Sez. III, 20/11/2020, n. 26524).
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19 Gennaio 2023
Dal 1° marzo gli arbitri avranno la facoltà di emanare provvedimenti cautelari
Una delle novità di maggior interesse in materia di arbitrato, conseguente all’entrata in vigore del D.lgs 10 ottobre 2022 n. 149, che ha attuato la legge delega di riforma del processo civile, è rappresentata dalla possibilità per le parti di attribuire agli arbitri poteri cautelari, consentendo loro di pronunciare provvedimenti anticipatori rispetto alla decisione finale.
Prima della riforma, l’Italia era uno dei pochi Paesi a livello mondiale in cui gli arbitri non erano autorizzati a concedere misure cautelari. La formulazione ora abrogata dell’articolo 818 c.p.c. vietava espressamente agli arbitri la possibilità di concedere sequestri o altri provvedimenti cautelari, “salva diversa disposizione di legge” che risultava, però, assente.
Con le nuove disposizioni l’ordinamento giuridico italiano si allinea alle altre principali normative europee, come quelle di Francia, Regno Unito, Germania, Austria e Spagna.
Il nuovo articolo 818 c.p.c. prevede che gli arbitri possano emanare misure cautelari quando vi sia una espressa attribuzione delle parti, che sia stata manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale.
Inoltre, il nuovo articolo 818 c.p.c. riconosce il potere esclusivo degli arbitri di ordinare misure cautelari, escludendo così il potere concorrente del tribunale. Nel caso in cui le parti conferiscano questo potere agli arbitri, il tribunale ordinario è competente a decidere su eventuali domande cautelari antecedenti all’accettazione dell’arbitro unico o alla costituzione del collegio arbitrale, ai sensi degli artt. 669-quinquies c.p.c.
Nel procedimento arbitrale il provvedimento cautelare può essere reclamato davanti alla Corte d’Appello del distretto dove ha sede l’arbitrato. Tuttavia, a differenza di quanto previsto per le misure cautelari adottate dai giudici, con il reclamo possono essere contestate la violazione dell’ordine pubblico o delle regole procedurali che comportano la nullità di un lodo e non la violazione di legge o gli errori sul fatto.
Infine, poiché agli arbitri non sono attribuiti poteri coercitivi, l’attuazione del provvedimento cautelare è affidata al tribunale nel cui circondario ha sede l’arbitrato e, se avviene all’estero, al tribunale del luogo in cui la misura deve essere eseguita.
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12 Gennaio 2023
Fusioni, scissioni e trasformazioni transfrontaliere
Lo schema di Decreto Legislativo di attuazione della Direttiva UE 2019/2121 è attualmente al parere delle commissioni parlamentari.
Lo scorso 9 dicembre 2022 il Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento – in seguito all’approvazione, in esame preliminare, da parte del Consiglio dei Ministri – ha trasmesso al Presidente del Senato lo schema di decreto legislativo per l’attuazione della direttiva UE 2019/2121 (pubblicata il 12 Dicembre 2019 sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea) che modifica la direttiva UE 2017/1132 relativa alle trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere, affinché venga sottoposto al parere delle competenti commissioni parlamentari.
Entro il 31 gennaio 2023 tutti gli Stati membri dell’Unione Europea dovranno recepire la direttiva che introduce, per la prima volta, un regime armonizzato per le trasformazioni e le scissioni transfrontaliere, ovvero operazioni societarie che coinvolgono più di uno Stato membro, in quanto sino ad oggi soltanto le fusioni transfrontaliere erano state oggetto di una disciplina armonizzata, prima contenuta nella direttiva 2005/56/CE e poi consolidata nella direttiva 2017/1132.
Il principio di fondo della direttiva in commento è rappresentato dalla libertà di stabilimento delle società all’interno dei diversi Paesi dell’Unione Europea, semplificando la realizzazione di operazioni societarie transfrontaliere.
Nello specifico, gli elementi di maggiore novità contenuti nella direttiva 2019/2121 attengono a:
- previsione di disposizioni di diritto materiale uniforme e non solo di norme di conflitto, relative alla procedura da seguire per effettuare l’operazione societaria prescelta;
- previsioni di tutela delle diverse categorie di soggetti interessati dall’operazione societaria transfrontaliera, tra le quali i soci dissenzienti, che hanno il diritto di recedere dalla società, a fronte della liquidazione della propria partecipazione, un adeguato sistema di tutela degli interessi dei creditori, garanzia dei diritti di informazione e di consultazione dei lavoratori.
La direttiva in commento stabilisce anche apposite procedure volte a verificare la legalità delle operazioni transfrontaliere, in base alle quali le autorità nazionali potranno impedire le operazioni cross-border qualora riscontrino finalità scorrette o fraudolente.
20 Dicembre 2022
Qual è la sorte del contratto di mutuo fondiario nel caso in cui venga superato il limite di finanziabilità? La risposta delle Sezioni Unite
Con la sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (rel. Lamorgese) hanno affrontato la questione di massima importanza sulla quale si sono formati orientamenti di legittimità divergenti, della sorte del contratto di mutuo fondiario concesso per un importo eccedente il limite di finanziabilità di cui all’art. 38 TUB.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 26672/2013; Cass. n. 27380/2013; Cass. n. 22446/2015; Cass. n. 13164/2016), la violazione dell’art. 38, comma 2, TUB, non può provocare la nullità del contratto di mutuo fondiario, in quanto il limite di finanziabilità ivi previsto non incide sul sinallagma contrattuale e, quindi, non concerne la validità dello stesso, ma investe esclusivamente il comportamento della banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale ivi stabilito, con conseguente applicazione delle sanzioni amministrative previste dal Testo Unico ed un eventuale diritto al risarcimento del danno del mutuatario.
Secondo un diverso orientamento di legittimità (Cass. n. 17352/2017, Cass. n. 19016/2017, Cass. n. 29745 del 2018, Cass. n. 10788/2022) la violazione dell’art. 38, comma 2 TUB, determina la nullità del contratto di mutuo fondiario e la sua conversione in mutuo ipotecario ordinario, in quanto la prescrizione del limite massimo di finanziabilità da parte della Banca d’Italia si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi fondiario. La fissazione di un limite di finanziabilità non è confinabile nell’area del comportamento della contrattazione tra banca e cliente, ma ha la funzione di regolare il quantum della prestazione creditizia, in modo da incidere direttamente sulla fattispecie.
Le Sezioni Unite, nella pronuncia in commento, risolvono il suddetto contrasto affermando due principi di diritto:
- la violazione del limite di finanziabilità di cui all’art. 38 TUB non comporta nullità del contratto di mutuo fondiario, in quanto non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa dello stesso o posta a presidio della validità dell’accordo, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto;
- è esclusa la riqualificazione del contratto: da mutuo fondiario a ipotecario ordinario. Ad avviso delle Sezioni Unite, una volta esclusa la nullità (totale o parziale) del contratto per superamento del limite di finanziabilità, non è consentito all’interprete intervenire (d’ufficio) sugli effetti legali del contratto per neutralizzarli, facendo applicazione di un diverso modello negoziale (mutuo ordinario) non voluto dalle parti, seppure appartenente alla stessa famiglia o genus contrattuale.
Si tratta di una decisione di particolare rilievo pratico, in quanto pone fine ad un’incertezza interpretativa con rilevanti conseguenze applicative, ma di certo non immune da rilievi critici, in particolare per quanto attiene alla qualificazione quale norma di comportamento dell’art. 38, comma 2, TUB.
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13 Dicembre 2022
Cassazione: si può registrare le conversazioni con i colleghi di lavoro, anche senza il loro consenso, al fine di tutelare i propri diritti
In una recente sentenza n. 28398 del 29/09/2022 la Corte di Cassazione ha affermato che la registrazione di una conversazione tra colleghi all’insaputa dei presenti, entro determinati limiti e condizioni, può costituire fonte di prova, legittimamente utilizzabile in giudizio.
Infatti, il diritto alla riservatezza delle conversazioni e al consenso al trattamento di dati personali deve essere bilanciato con il diritto di difesa del lavoratore che lo legittima a raccogliere fonti di prova in vista di un futuro giudizio.
Nel caso di specie, la sentenza della Corte d’Appello impugnata aveva ritenuto inammissibile l’utilizzo in giudizio della registrazione di conversazioni intercorse tra colleghi che, in ipotesi, avrebbero dimostrato l’intento ritorsivo del licenziamento successivamente deciso dall’azienda. Secondo la Corte d’Appello le registrazioni erano “abusive, illegittimamente captate e registrate” e quindi non idonee a costituire fonte di prova nel giudizio civile.
Al contrario, nel valutare se la condotta di registrazione di conversazioni tra un dipendente e i suoi colleghi, all’insaputa degli stessi, possa integrare una violazione del diritto alla riservatezza, la Cassazione, ha evidenziato come la disciplina contenuta nel Codice in materia di protezione dei dati personali consenta di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati sia necessario per esercitare il proprio diritto di difesa in giudizio. Sempre a condizione che:
– i dati siano trattati esclusivamente per tale fine e solo per il periodo necessario al suo perseguimento;
– colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la conversazione sia realmente avvenuta, né che abbia avuto il tenore risultante dalla riproduzione (sempre che tali eccezioni siano tempestive e circostanziate);
– almeno uno dei soggetti tra cui si svolge la conversazione sia parte in causa.
La decisione in commento evidenzia, ancora una volta, come tra diritti fondamentali che entrano in conflitto tra loro (nel caso di specie diritto alla riservatezza e diritto di difesa) non sia possibile individuare in astratto e a priori una scala di valori e priorità, ma occorra, di volta in volta –sulla base della fattispecie concreta – effettuare un attento contemperamento, volto a delineare i rispettivi limiti applicativi, al fine di bilanciare le diverse esigenze di tutela.
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22 Novembre 2022
Corte di Cassazione: tra esigenze di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa e tutela della privacy
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza (n. 33257 dell’11 novembre 2022) ha preso posizione sul tema del bilanciamento tra esigenze di trasparenza dell’azione amministrativa e diritto alla privacy. Il caso riguarda un’unione comunale che aveva pubblicato sul proprio sito web una graduatoria per l’ammissione a sussidi scolastici per famiglie indigenti contenente sia dati personali dei soggetti non ammessi al beneficio che informazioni riguardanti gli assegnatari quale la residenza, la tipologia di scuola e di classe frequentata, il valore ISEE di ciascun beneficiario.
Tale modus operandi era stato sanzionato da parte del Garante per la privacy, cui era seguita l’opposizione dell’ente, accolta dal Tribunale di Firenze. Il Garante per la privacy ricorreva in Cassazione e la Suprema Corte ne accoglieva i motivi di ricorso: in assenza di una diversa previsione di legge non deve essere consentita la pubblicazione dei dati personali di tutti i partecipanti alla gara, bensì solo di coloro che hanno ottenuto i benefici e – riguardo a questi ultimi – possono essere resi noti esclusivamente il nominativo, gli importi attribuiti e le norme di riferimento, con esclusione di ogni altra informazione eccedente e non pertinente rispetto allo scopo di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa e le verifiche sulla regolarità delle assegnazioni.
In via di principio, la Suprema Corte ha quindi affermato – sul presupposto che debbano essere opportunamente contemperate le esigenze di pubblicità e trasparenza con i diritti e la dignità dell’interessato, con particolare riferimento al diritto alla protezione dei dati personali – che “le finalità di controllo sull’agire dell’amministrazione mediante la trasparenza delle informazioni devono essere attuate mediante forme di pubblicità la cui conoscenza sia ragionevolmente ed effettivamente connessa all’esercizio di un controllo, nel rispetto dei limiti di proporzionalità e pertinenza, non giustificandosi una totale ed indiscriminata ostensione dei dati stessi”.
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11 Novembre 2022
Convegno 25 novembre Improve – Valorizzazione e protezione del patrimonio: dalla finanza alle attività reali
Lègister vi invita a seguire l’incontro annuale multidisciplinare organizzato dal Centro Studi Jlc sulla valorizzazione e protezione del patrimonio, a cui parteciperà apportando l’esperienza e le competenze dei propri relatori in materia.
Il convegno affronterà quattro tematiche distinte, il cui punto di convergenza è l’investimento nelle sue poliedriche forme, non solo con riferimento alla destinazione di patrimoni in strumenti finanziari ma anche in attività reali ed in primis attività di impresa e beni immobili.
In particolare, Cino Raffa Ugolini, Partner di Lègister, sarà relatore nel modulo “CLASS ACTION E STRUMENTI DI TUTELA DA DANNO DA INVESTIMENTO” con un intervento sulla class action in Italia, mentre Alfredo Talenti, Partner di Lègister, parteciperà al modulo “INNOVAZIONE E CONSERVAZIONE DEL VALORE DELL’IMPRESA” con una riflessione sull’adeguatezza degli assetti organizzativi dell’impresa e riflessi giuridici anche alla luce del nuovo Codice della Crisi.
Le quattro tavole rotonde si terranno in contemporanea e saranno trasmesse in streaming: sul sito del Centro Studi Jlc e sulla pagina Facebook del Centro Studi.
I contenuti saranno inoltre fruibili, da parte dei professionisti per il riconoscimento dei crediti formativi, sulla piattaforma di ISC – Istituto Superiore di Conciliazione, a seguito dell’accreditamento dei quattro moduli per, Avvocati, Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Architetti P.P.C. e Giornalisti.
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28 Ottobre 2022
L’effettiva possibilità di risanamento è presupposto fondamentale per l’accesso alla composizione negoziata della crisi d’impresa
La composizione negoziata della crisi d’impresa è uno strumento normativo introdotto di recente con lo scopo di favorire l’emersione quanto più anticipata possibile della crisi, al fine di tentarne il risanamento quando ancora la situazione finanziaria ed economica non si è completamente deteriorata.
Vista la recente introduzione, sono ad oggi rare le pronunce giurisprudenziali in materia e ciò rende particolarmente interessante la recentissima sentenza del Tribunale di Roma del 10.10.2022 che si sofferma a individuare e argomentare i presupposti fondamentali per l’accesso alla composizione negoziata della crisi d’impresa.
In primo luogo, si ricorda che la procedura può essere attivata nei casi in cui si presenti una situazione di squilibrio economico, e dunque quando l’insolvenza è solo prospettica, ovvero anche nei casi in cui sussiste una situazione di insolvenza conclamata ma non irreversibile, quando alla composizione negoziata si accede tardivamente ed è necessario il ricorso a rimedi economici e finanziari drastici e comunque le probabilità della soluzione positiva si riducono drasticamente.
Pur svolgendosi la composizione negoziata in un ambito non giudiziale, su richiesta del debitore possono dispiegarsi misure protettive e la sospensione delle azioni cautelari, per impedire che le iniziative dei creditori possano ostacolare il perseguimento degli obiettivi di risanamento. E’ evidente che tale automatica protezione possa incidere pesantemente sui diritti dei creditori e dei terzi. Per contemperare questa attitudine, la legge sottopone la conferma dell’accesso a tale protezione al vaglio del giudice per l’accertamento della sussistenza o meno dei due presupposti di legge: a) sussistenza di una situazione di squilibrio economico e finanziario e b) effettiva e realistica possibilità di pervenire al risanamento dell’impresa.
E’ sul secondo presupposto che si concentra l’attenzione del Tribunale di Roma nella sentenza in commento, sottolineando la particolare importanza e delicatezza dei temi connessi alla valutazione delle possibilità di risanamento, “la cui realistica affermazione deve dal giudice essere pienamente verificata nell’esistenza di un progetto concreto che delinei quantomeno l’obiettivo di fondo che s’intende perseguire e le linee principali degli interventi che l’impresa intende assumere”. Ciò perché il dispiegamento di strumenti giudiziari fortemente incisivi sui diritti dei terzi e dei creditori si giustifica, nell’impianto normativo complessivo, solo ed esclusivamente nella prospettiva del recupero dell’efficienza aziendale ed imprenditoriale, quale obiettivo coerente con l’interesse generale di rango costituzionale di tutela dell’economia nazionale e con i principi propri dell’art. 4 della Direttiva Insolvency, tenuto conto anche dell’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori sociali. Così viene ricostruita la ratio legis complessiva della nuova normativa.
In quest’ottica assume un carattere centrale l’obbligo posto a carico del debitore, ai fini della conferma delle misure protettive e cautelari, di depositare un piano finanziario per i successivi sei mesi, un prospetto delle iniziative di carattere industriale che intende adottare ed una dichiarazione avente valore di autocertificazione attestante, sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l’impresa può essere risanata. Obbligo che, secondo la sentenza in commento, “deve esser verificato con rigore, poichè l’ampiezza dell’ombrello protettivo costituisce un vulnus particolarmente incisivo e pericoloso per i creditori, ai quali può essere imposto solo nei casi in cui il debitore renda chiaramente plausibile il dispiegamento di un’AZIONE RISANATRICE connotata da REALISMO ed EFFETTIVITA’ ed evitare abusi ed ostruzionismi”.
Infine si esclude espressamente che si possa ipotizzare un risanamento in assenza del mantenimento della continuità aziendale e quindi tramite soluzioni che comunque conducano alla liquidazione dell’impresa.
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21 Ottobre 2022
E’ escluso il ricorso immediato in Cassazione contro le sentenze non definitive endo-processuali
La Suprema Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 23907 del 2 agosto 2022, ha preso posizione in ordine ai presupposti applicativi della disciplina dell’impugnazione in Cassazione delle sentenze non definitive rese in grado di appello, a norma degli artt. 360 comma 3 e 361 del Codice di rito, come novellati dal D.lgs n. 40 del 2006.
In particolare, i giudici di legittimità hanno escluso l’immediata impugnabilità in Cassazione (con conseguente inammissibilità del ricorso eventualmente depositato) delle sentenze d’appello di carattere meramente endo-processuale, cioè quelle decisioni che non definiscono il processo avanti al giudice che le ha pronunciate, essendo la trattazione della causa destinata a proseguire dinanzi allo stesso in giudice in vista della decisione definitiva.
Dalla sentenza in commento si può schematicamente desumere quanto segue:
– le sentenze di cui all’art. 278 c.p.c. (sentenze di condanna generica) e quelle che decidono una o alcune delle domande di merito oggetto del giudizio, senza tuttavia definirlo, sono suscettibili – a discrezione della parte soccombente – di essere impugnate immediatamente, ovvero unitamente al provvedimento che definisce il giudizio (previa riserva di ricorso in Cassazione da avanzare tempestivamente);
– le sentenze che decidono su questioni interlocutorie di carattere endo-processuale non possono essere impugnate immediatamente, ma sono sottoposte ad una riserva ex lege di ricorso in Cassazione unitamente alla sentenza che definisce il giudizio e l’eventuale impugnazione immediata è inammissibile.
La natura interlocutoria, o meno, della decisione deve valutarsi con riferimento ad indici di carattere formale, desumibili dal contenuto intrinseco della sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite (in tal senso è espressa anche Cassazione a Sezioni Unite n. 10242/2021).
A livello sistematico si rileva l’asimmetria della disciplina dettata dagli artt. 360 comma 3 e 361 c.p.c. e quella contenuta nell’art. 340 c.p.c. afferente la riserva di appello avverso le sentenze non definitive di primo grado, ove è ammessa l’impugnazione immediata anche delle sentenze che decidono questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito.
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13 Ottobre 2022
Mediazione: improcedibilità e sanzioni per chi è assente senza giustificato motivo
La Corte d’Appello di Napoli, con la recente sentenza n. 3843 del 19.9.2022, ha dichiarato l’improcedibilità dell’impugnazione in ragione della mancata partecipazione personale dell’appellante al primo incontro di mediazione, giustificata sulla base di generici impedimenti, incontro cui ha preso parte il solo avvocato munito di mera procura alle liti e sprovvisto di procura sostanziale per la mediazione.
Nella sentenza in esame la Corte d’appello di Napoli, richiamando i principi enunciati dalla Cassazione (sent. n. 8473/2019 e n. 18068/2019), ha sottolineato che il successo dell’attività di mediazione è affidato al contatto diretto tra le parti e che il mediatore professionale, attraverso l’interlocuzione diretta e informale, può aiutare a trovare una soluzione. Di conseguenza, le parti che non possono o non vogliono partecipare alla mediazione possono farsi sostituire da un terzo, anche dal loro avvocato, che deve però essere munito di procura sostanziale specifica per il procedimento di mediazione che gli conferisca il potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto, non essendo sufficiente – al contrario – la procura alle liti che conferisce al difensore il potere di rappresentanza della parte in giudizio e non in un’attività esterna al processo qual è appunto la mediazione. La procura deve, inoltre, essere già presente nel momento in cui si svolge la mediazione, dovendosi escludere la possibilità di sanatorie ex post.
La pronuncia in commento, quindi, muove dalla valorizzazione della natura stessa della mediazione quale attività professionale finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca, da una parte, di un accordo amichevole per la composizione di una controversia e, dall’altra, al fine di formulare una proposta per la risoluzione della stessa.
A seguito della dichiarazione di improcedibilità dell’appello per mancato esperimento della mediazione, sono state altresì applicate le sanzioni pecuniarie previste dalla normativa con condanna delle parti che non hanno partecipato personalmente alla mediazione a versare una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Questa pronuncia si pone nel solco da qualche anno tracciato dal legislatore e seguito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, che vede nelle procedure per la risoluzione delle dispute alternative al giudizio (c.d. ADRs), tra cui in primis la mediazione, un importante strumento deflattivo dell’attività di Tribunali e Corti, conferendo alle stesse un ruolo sempre più importante e centrale nel nostro ordinamento. In questa direzione si pongono sia la riforma del processo civile che, in materia di mediazione, interviene su diverse parti del procedimento e fornisce indicazioni particolarmente restrittive, sia il nuovo Codice della Crisi d’Impresa con l’introduzione della composizione negoziata della crisi.
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5 Ottobre 2022
D.Lgs. 231: anche se il reato è prescritto deve essere accertata la responsabilità dell’ente
In tema di responsabilità degli enti ex D.L.gs.231/2001, anche nel caso in cui il reato presupposto contestato al legale rappresentate della società sia dichiarato estinto per prescrizione, il giudice deve comunque procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso.
Così si è espressa la Terza sezione dalla Cassazione Penale con la sentenza n.30685 del 4 agosto 2022, affermando che “in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, comma 1, lett. b), deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato”.
Viene quindi confermato anche in questa recente pronuncia l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte secondo cui “l’intervenuta prescrizione del reato non incide sulla piena cognizione giudiziale della responsabilità dell’ente”, che deve quindi essere sempre oggetto di accertamento da parte del giudice in tutti i suoi presupposti.
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30 Settembre 2022
Il Consiglio dei Ministri approva la riforma del processo civile
Via libera alla riforma della Giustizia proposta dal Ministro della giustizia Marta Cartabia. Il 28 settembre 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame definitivo, tre decreti legislativi di attuazione della riforma della giustizia civile e penale e dell’ufficio per il processo. I testi tengono conto dei pareri espressi dalle competenti Commissioni parlamentari.
La riforma interviene in modo radicale sulla struttura del processo civile, anticipando il contraddittorio tra le parti e le preclusioni istruttorie ad un momento antecedente rispetto alla prima udienza di comparizione, che diviene il fulcro del processo, concentrandosi in essa anche la decisione sull’ammissione delle prove. Si aggravano gli oneri a carico dei difensori delle parti nella fase introduttiva del giudizio, soprattutto per quanto riguarda l’articolazione dei mezzi di prova.
La riforma del processo civile è uno degli obiettivi concordati con l’Unione europea per accedere alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Con la legge n. 206 del 2021, il Parlamento ha previsto una delega al Governo per l’efficienza del processo civile e la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, nonché una serie di misure urgenti per la razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie e in ambito di esecuzione forzata.
In attuazione di tale delega, il 2 agosto 2022 il Governo ha trasmesso alle Camere lo schema di decreto legislativo A.G. 407, sul quale le commissioni competenti di Camera e Senato hanno espresso un parere favorevole, condizionato dall’accoglimento di una serie di rilievi (la Commissione Giustizia del Senato si è espressa il 13 settembre 2022; la Commissione Giustizia della Camera si è espressa il 15 settembre 2022).
L’iter procedimentale della riforma si è, infine, concluso nella giornata di ieri con l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, del decreto legislativo attuativo della legge delega n. 206 del 2021.
Lo schema di decreto legislativo sottoposto al Consiglio dei Ministri prevede l’entrata in vigore il 30 giugno 2023 e l’applicazione ai processi introdotti successivamente a tale data. Occorre, però, sottolineare che si tratta di una previsione suscettibile di modifica.
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22 Settembre 2022
Decreto trasparenza: cosa cambia nelle informazioni da fornire in sede di assunzione
Lo scorso 13 agosto è entrato in vigore il D.Lgs. 27 giugno 2022, n. 104 (c.d. Decreto Trasparenza) che attua la direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, volta a “migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più trasparente e prevedibile, pur garantendo nel contempo l’adattabilità del mercato del lavoro”. L’obiettivo è trasmettere comunicazioni chiare e trasparenti sugli elementi essenziali, le condizioni dei rapporti di lavoro e sulle relative tutele.
Tra le novità introdotte dal Decreto Trasparenza sono previsti nuovi adempimenti a carico dei datori di lavoro relativamente all’obbligo di informazione da fornire a diverse categorie di lavoratori (non più soltanto subordinati), in particolare in fase di assunzione. L’art. 4 del D.Lgs. n. 104/2022 riscrive, infatti, interamente i primi quattro articoli del D.Lgs. n. 152/1997 e amplia l’elenco di informazioni da rendere obbligatoriamente ai lavoratori al momento dell’assunzione. Non è consentito il rinvio alla legge e al contratto collettivo applicato dal datore di lavoro, sebbene ciò fosse possibile in base alla Direttiva europea.
Le informazioni obbligatorie dovranno, quindi, essere inserite nel contratto di assunzione ed essere comunicate a ciascun lavoratore in modo chiaro e trasparente, in formato cartaceo oppure in modalità elettronica o telematica (ovvero: via e-mail personale comunicata dal lavoratore; e-mail aziendale messa a disposizione dal datore di lavoratore; messa a disposizione sulla rete intranet aziendale dei relativi documenti tramite la consegna di password personale al lavoratore).
Il Decreto impone anche un obbligo di conservazione in capo al datore di lavoro che dovrà rendere accessibili le informazioni e custodire la prova della loro trasmissione o ricezione per la durata di cinque anni dalla conclusione del rapporto di lavoro. Nel caso in cui la documentazione non venisse conservata per la durata prevista dalla legge, si riterrà che gli obblighi di informazione siano omessi e quindi saranno applicate le sanzioni previste dall’art. 19 comma 2 del Dlgs. n. 276/2003 (sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.500 per ogni lavoratore interessato).
Già lo scorso 10 agosto 2022, con la circolare n.4, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro aveva fornito le prime indicazioni esplicative delle nuove norme. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il 20 settembre 2022 ha pubblicato la circolare n.19 in cui fornisce le prime indicazioni interpretative.
La circolare n.19 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali conferma che la ratio della riforma è quella di ampliare e rafforzare gli obblighi informativi, calandoli nella concretezza del rapporto di lavoro. L’obbligo informativo non è, quindi, assolto attraverso un astratto richiamo alla normativa che regola gli istituti oggetto dell’informativa, ma attraverso la comunicazione di come tali istituti si collocano concretamente, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo della contrattazione collettiva applicabile al contratto di lavoro. Nello specifico, la circolare si sofferma sui nuovi obblighi informativi in ambito di congedi, retribuzione, orario di lavoro, previdenza e assistenza.
Bisogna, inoltre, considerare che ai fini dell’adempimento dei nuovi obblighi informativi introdotti dal D. Lgs. n. 104/2022, anche il regolamento aziendale può essere d’aiuto per il datore di lavoro. Ferma restando la consegna del contratto individuale o della copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, la disciplina di dettaglio potrà essere comunicata attraverso il rinvio al regolamento aziendale, messo a disposizione del lavoratore attraverso le modalità proprie di ogni azienda.
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14 Luglio 2022
Il 15 luglio 2022 entra in vigore il Codice della crisi d’impresa: nuove misure di prevenzione e controllo e relative opportunità
Dal 15 luglio, il nuovo Codice della Crisi d’Impresa prende il posto della vecchia legge fallimentare. La data della sua entrata in vigore non è casuale: il 17 luglio 2022 è, infatti, l’ultimo giorno valido per il recepimento della Direttiva UE 2019/2023 cd. Insolvency. La definizione degli assetti organizzativi delle imprese e i segnali da individuare per prevenire le crisi d’impresa – da aggiornarsi e rivedere ogni 3 anni – sono già stati approvati dal Governo il 17 marzo, mentre l’introduzione dei nuovi sistemi di allerta è prevista per la fine del 2023.
Entrando nel merito delle nuove misure di prevenzione e di controllo previste dal Codice della crisi d’impresa, l’art. 3, relativo all’adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi, introduce l’obbligo per l’imprenditore individuale di «adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte». Per l’imprenditore collettivo si parla, invece, di obbligo di adottare «un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del Codice Civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative».
L’adeguatezza degli assetti organizzativi assume dunque un ruolo centrale, divenendo una pre-condizione per il tempestivo rilevamento della crisi. Ciò deve necessariamente stimolare gli imprenditori a valutare e, nel caso, ripensare la propria struttura interna anche in quest’ottica specifica. È ora, infatti, indispensabile, per espressa previsione di legge, adottare tutte le misure necessarie per intercettare i sintomi di crisi ovvero: rilevare in tempo la presenza di eventuali squilibri economico-finanziari o patrimoniali; verificare la sostenibilità dei debiti; controllare le prospettive di continuità di aziendale, che deve essere di almeno 12 mesi; effettuare il test per verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento.
Il quarto comma dell’art. 3 introduce, inoltre, ulteriori segnali di allerta quando si riscontra la presenza di: debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni, nel caso in cui siano di grandezza superiore alla metà dell’ammontare mensile totale; debiti verso i fornitori scaduti da almeno 90 giorni, se di valore superiore ai debiti non ancora scaduti; esposizioni scadute da oltre 60 giorni nei confronti di istituti di credito o altri intermediari finanziari, se di valore uguale o superiore al 5% del totale delle esposizioni; esposizioni debitorie descritte nell’articolo 25-novies, comma 1 del Codice della Crisi.
La prevenzione e gestione della crisi d’impresa rappresenta, quindi, una sfida ma anche un’opportunità, non solo per le imprese ma anche per i professionisti che sono chiamati a dare il proprio contributo. L’obiettivo è quello di improntare ab origine la governace verso un sistema che consenta di gestire in maniera più oculata le aziende italiane, potendo diagnosticare anticipatamente i sintomi di una crisi ed essere, quindi, nelle condizioni di affrontarli in maniera più tempestiva e mirata, nell’interesse di tutti gli stakeholders coinvolti.
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8 Luglio 2022
Il nuovo regolamento UE di esenzione (VBER) e le linee guida per gli accordi verticali
Il Regolamento della Commissione europea n. 2022/720 – The Vertical Block Exemption Regulation (VBER) – è entrato in vigore il 1° giugno 2022 e sarà la disciplina di riferimento nella valutazione degli accordi verticali per i prossimi anni.
Il nuovo quadro legislativo si propone di proteggere la concorrenza all’interno del Mercato Unico Europeo, fornendo alle imprese alcune regole per valutare la compatibilità dei propri accordi di fornitura e distribuzione con le norme dell’UE in materia di concorrenza, in un mercato ridisegnato dalla crescita del commercio elettronico. La Commissione europea ha pubblicato anche la nuova versione delle Linee Guida in materia di accordi verticali che forniscono indicazioni anche su come interpretare e applicare il Regolamento.
Il VBER e le sue Linee Guida forniscono un quadro importante per gli accordi verticali, per tali intendendosi le intese tra imprese attive nei diversi livelli della catena produttiva (tra cui contratti di distribuzione selettiva e non, franchising, etc), stabilendo, da un lato, specifici divieti o obblighi a tutele della concorrenza nel mercato interni ma, dall’altro, prevedendo una zona di sicurezza, detta “safe harbour” (porto sicuro), all’interno tali divieti ed obblighi non operano.
Il nuovo Regolamento conferma la soglia di “safe harbor” al 30% del mercato rilevante: pertanto, se la quota di mercato di produttore e distributore nel mercato di riferimento è inferiore a tale soglia, si presume che i loro accordi siano leciti. Tale presunzione di liceità non opera in presenza di c.d. “hard-core restrictions” e cioè di restrizioni fondamentali vietate tout court dal Regolamento.
Le novità principali del nuovo Regolamento consistono i) nella maggior tutela offerta a sistemi di distribuzione selettiva, ii) nell’ampliamento delle ipotesi in cui il produttore, nell’ambito di sistemi di distribuzione esclusiva, può stabilire il divieto di vendite attive in un certo territorio o a determinati gruppi di clienti e iii) nell’introduzione della facoltà del produttore di imporre talune restrizioni anche nell’ambito di sistemi di distribuzione libera.
Il nuovo Regolamento ha affrontato specificamente il tema della c.d. duplice distribuzione (quando un fornitore vende i propri beni o servizi sia tramite distributori indipendenti sia direttamente ai clienti finali) disciplinando espressamente anche l’aspetto del flusso informativo e distinguendo tra informazioni da considerarsi necessarie per lo svolgimento del rapporto e altre che non lo sono.
La crescente importanza del fenomeno delle vendite on-line ha spinto la Commissione Europea a introdurre previsioni specifiche al riguardo. In particolare, confermato che qualunque divieto esplicito del fornitore alle vendite on-line dei propri distributori è considerato “hard-core restriction” e quindi sempre vietato, è stato ora previsto nè la doppia tariffazione (prezzi diversi tra on-line e off-line) né l’imposizione di criteri per le vendite on-line non equivalenti a quelli per punti vendita fisici siano più considerate vietate tout court sempre che non abbiano come obiettivo specifico quello di ostacolare le vendite on-line o cross-border.
Particolare attenzione è stata dedicata agli obblighi di parità che richiedono a un venditore di offrire alla sua controparte condizioni uguali o migliori di quelle offerte sui canali di vendita di terzi, come altre piattaforme, e/o sui canali di vendita diretta del venditore, come ad esempio il sito web. Il Regolamento ha escluso dall’ambito di applicazione dell’esenzione gli obblighi diretti o indiretti che impediscano agli acquirenti di servizi di intermediazione online di offrire, vendere o rivendere beni o servi agli utenti finali a condizioni più favorevoli attraverso servizi di intermediazione online concorrenti. E’ stata inoltre introdotta un’articolata disciplina specifica per i diversi tipi di clausola di questo genere.
La Commissione ha inoltre chiarito nelle linee guida che le piattaforme online non sono considerate agenti di commercio ai fini del regolamento e non sono quindi soggette al privilegio dell’agente di commercio.
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21 Giugno 2022
Con la riforma Cartabia dal 22 giugno cambia il pignoramento presso terzi
Per effetto della riforma del processo civile del Ministro Cartabia, dal 22 giugno 2022 cambia anche il pignoramento presso terzi.
Entrano, infatti, in vigore le modifiche all’art. 543 c.p.c. che impongono al creditore di notificare al debitore e al terzo anche l’avviso dell’iscrizione a ruolo e di depositare poi l’atto notificato nel fascicolo dell’esecuzione entro l’udienza di comparizione come indicata nell’atto.
Ciò significa che debitore e terzo devono essere messi al corrente del numero di iscrizione della procedura, pena la non efficacia del pignoramento. Nel caso in cui il pignoramento sia eseguito nei confronti di più soggetti terzi esso sarà inefficace solo nei confronti di coloro ai quali non sia stato notificato o non risulti depositato nel fascicolo l’avviso di iscrizione a ruolo. Se, invece, la notifica viene omessa, debitore e terzo sono liberati dagli obblighi a loro carico derivanti dal pignoramento a partire dalla data dell’udienza che il creditore ha indicato nell’atto.
Infine, cambia anche il Foro competente nel caso in cui il debitore sia una P.A. Dal 22 giugno 2022, infatti, sarà introdotto l’art. 26 bis c.p.c. che al primo comma prevedrà che sarà competente per l’esecuzione forzata il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. Cessa, in questo modo, la competenza del giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede nei casi in cui il debitore sia un P.A.
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9 Giugno 2022
Antiriciclaggio: via libera al Registro dei titolari effettivi
Dopo tanti anni di attesa anche l’Italia avrà così il proprio Registro dei Titolari Effettivi, lo scorso 25 maggio, infatti, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (121 del 25 maggio 2022), il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 11 marzo 2022 n°55 che stabilisce le disposizioni in tema di comunicazione, accesso, e consultazione dei dati e delle informazioni relative alla titolarità effettiva di imprese, trust e istituti giuridici affini.
L’istituzione del Registro dei Titolari effettivi sancirà l’adesione del nostro Paese al c.d. sistema BORIS “Beneficial Ownership Registers Interconnection System”, avviato con il Regolamento UE 369/2021, allo scopo di garantire maggiore trasparenza ed efficienza a livello comunitario degli interventi volti a prevenire i fenomeni di riciclaggio e il finanziamento del terrorismo.
Le informazioni contenute nel Registro saranno accessibili, non solo alle Autorità competenti antiriciclaggio, ma anche – previo accredito – ai soggetti obbligati alle disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n° 231/07, i quali potranno usufruire di uno strumento operativo in più per gli adempimenti di adeguata verifica della clientela.
Per l’effettivo avvio del Registro sarà necessaria l’adozione di provvedimenti attuativi da parte del Ministero dello Sviluppo Economico destinati a disciplinare alcuni aspetti tecnici e operativi.
Una volta operativo il Registro, saranno tenuti a comunicare le informazioni sui titolari effettivi: i) le imprese dotate di personalità giuridica tenute all’iscrizione nel Registro Imprese ai sensi dell’art. 2188 c.c., ii) le persone giuridiche private tenute all’iscrizione nel Registro di cui al Dpr n. 361/2000 e iii) i trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali, le cui informazioni saranno conservate in apposite sezioni speciali del Registro Imprese.
L’obbligo di comunicare al Registro Imprese le informazioni sui titolari effettivi dovrà essere ottemperato entro 60 giorni dal provvedimento con cui il Ministero summenzionato attesterà l’operatività del Registro.
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