20 Dicembre 2024
Con l’ordinanza n. 25260 del 20 settembre 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di business judgement rule a definizione di in una controversia che aveva ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni causati dalla mala gestio di un amministratore di una società a responsabilità limitata. La Corte ha sottolineato che le decisioni dell’amministratore non sono sindacabili solo se non appaiono manifestamente irragionevoli o imprudenti, sulla base di uno scrutinio da effettuarsi ex ante, in concreto, tenendo conto dello standard di condotta della diligenza professionale a cui gli amministratori devono uniformarsi. Di particolare interesse è proprio l’attenzione posta sull’ambito delle verifiche e valutazioni a cui il Giudice è chiamato: la business judgment rule non deve essere intesa come generica e generalizzata esimente da responsabilità.
La pronuncia in esame ha, inoltre, offerto l’opportunità di ribadire i confini della responsabilità contrattuale degli amministratori e chiarire la ripartizione dell’onere probatorio nei casi di mala gestio.
Il Caso
La vicenda trae origine dall’opposizione proposta da una società immobiliare avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da un ingegnere per il pagamento dei suoi compensi professionali per la progettazione e direzione lavori su due immobili della società.
Quest’ultima contestava la legittimità dell’incarico, sostenendo che l’amministratore che lo aveva conferito fosse privo di poteri di rappresentanza al momento della stipula e che il debito non fosse stato iscritto in bilancio. In particolare, la società deduceva che la mancata iscrizione del debito fosse prova della non esistenza dell’obbligazione.
La società chiedeva, inoltre, il risarcimento danni per mala gestio, imputando all’amministratore l’inerzia nel mettere a reddito gli immobili sociali, utilizzati invece per fini personali.
Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano rigettato le istanze della società, confermando la validità dell’incarico e ritenendo non provata la mala gestio.
La pronuncia della Cassazione
Nell’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione precisa che una società non può considerarsi terza rispetto a un contratto concluso in suo nome e deve provare che la manifestazione di volontà dell’amministratore sia intervenuta in seguito alla perdita del potere rappresentativo.
Con riferimento alla questione del riparto dell’onere probatorio, la società sosteneva che il debito verso il professionista incaricato non fosse iscritto in bilancio. A tale riguardo, la Suprema Corte chiarisce che l’assenza dell’iscrizione del debito nei libri contabili non implica necessariamente l’inesistenza dell’obbligazione, poiché le scritture contabili non possono dimostrare né la mancanza di rapporti tra le parti né l’assenza di obblighi derivanti da altre prestazioni.
In tema di business judgement rule, la Suprema Corte sottolinea che l’amministratore non può essere considerato responsabile per decisioni gestionali che si rivelino economicamente sfavorevoli o inopportune. Questo tipo di valutazione rientra infatti nella discrezionalità imprenditoriale, che, al massimo, può costituire una giusta causa per revocare l’amministratore, ma non una base per imputargli una responsabilità contrattuale nei confronti della società.
La Corte precisa che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore non deve riguardare le sue scelte di gestione né le modalità con cui queste sono state attuate, anche quando comportino rischi economici significativi. Ciò che rileva, invece, è la diligenza dimostrata dall’amministratore nel valutare preventivamente i rischi connessi alle sue decisioni. In particolare, rileva se l’amministratore abbia omesso le verifiche, le informazioni e le cautele necessarie per tutelare adeguatamente gli interessi della società, come previsto dai suoi obblighi legali e statutari.
La Suprema Corte rimarca, inoltre, che l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci è di natura contrattuale. Questo significa che spetta alla società dimostrare che ci sono state violazioni da parte degli amministratori o sindaci e che queste hanno causato un danno, mentre grava sull’amministratore l’onere di provare di aver adempiuto diligentemente ai propri obblighi. Va sottolineato che l’onere della prova a carico della società non si limita a dimostrare l’atto compiuto dall’amministratore, ma deve includere elementi concreti che dimostrino come tale atto rappresenti una violazione dei suddetti doveri. Di conseguenza, chi intende far valere in giudizio la responsabilità dell’amministratore deve fornire una serie di indizi dai quali si possa dedurre la violazione di tali obblighi.
Se le condotte contestate all’amministratore non violano esplicitamente la legge o lo statuto, è necessario verificare se esiste un obbligo di astensione derivante dai suoi doveri di lealtà e diligenza. Il dovere di lealtà impone all’amministratore di evitare situazioni di conflitto di interessi con la società, mentre il dovere di diligenza richiede l’adozione di tutte le misure necessarie per tutelare gli interessi sociali che gli sono stati affidati.
Infine, in materia di responsabilità degli amministratori per i danni causati alla società, il principio di insindacabilità delle scelte gestionali (cosiddetta business judgement rule) non trova applicazione quando le decisioni economiche adottate risultano manifestamente irragionevoli, imprudenti o palesemente arbitrarie (Cassazione civile sez. I, 25/03/2024, n. 8069).
La Corte di merito non si è conformata a tali principi di diritto, limitandosi ad affermare l’insindacabilità delle scelte gestionali dell’amministratore, senza però verificare se la sua inerzia nel concedere in locazione gli immobili della società, utilizzandoli invece gratuitamente, costituisse una violazione del dovere di diligenza.
La società attrice aveva sostenuto che l’amministratore fosse rimasto inerte e non avesse messo a reddito gli immobili, causando un danno sotto forma di mancato incasso dei canoni di locazione, considerando che la società aveva come scopo la redditività degli immobili. In relazione a questa condotta, era compito dell’amministratore giustificare le ragioni di tale scelta gestionale, poiché non era legittimo adottare una decisione arbitraria, che appariva irrazionale e non plausibile rispetto all’oggetto sociale della società.
Per la Cassazione, la Corte di merito ha commesso un errore non solo nel ripartire l’onere probatorio, ma anche nel considerare insindacabili le scelte gestionali, anche quando esse risultano irragionevoli, imprudenti o arbitrarie. Inoltre, non è stato effettuato alcun approfondimento sull’utilizzo personale degli immobili da parte dell’amministratore, per determinare se tale decisione fosse stata una scelta prudente in relazione all’oggetto sociale della società.
Principio di diritto
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che applicherà il seguente principio di diritto: “Qualora i comportamenti degli amministratori che si assumono illeciti non siano vietati dalla legge o dallo statuto, la condotta dell’amministratore è illegittima se omette di adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati; in tal caso l’attore ha l’onere di provare tutti gli elementi di fatto dai quali è possibile dedurre la violazione dell’obbligo di lealtà e di diligenza”.
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