27 Maggio 2024
Con l’ordinanza n. 10640 del 19.04.2024 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata che aveva dichiarato la nullità del licenziamento motivato sulla scorta di ripetuti periodi di malattia che, pur non superando il periodo di comporto, avevano inciso negativamente sull’organizzazione e produttività aziendale.
Tale decisione fonda il suo articolato ragionamento sull’autonomia del licenziamento per superamento del periodo di comporto (assimilabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo) rispetto al licenziamento c.d. ‘per scarso rendimento’ (che costituisce una ipotesi di recesso del datore per grave inadempimento e, quindi, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) con la conseguenza che la sussunzione della fattispecie concreta in una ipotesi, piuttosto che nell’altra, non può essere rimessa alla libera scelta del datore di lavoro, in virtù di un mero atto di qualificazione del recesso, svincolato dalla valutazione della concreta ragione posta a fondamento del licenziamento.
Il fatto oggetto del giudizio
Il caso concreto sottoposto all’attenzione della Suprema Corte ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, a causa delle frequenti assenze per malattia che avevano inciso negativamente sull’organizzazione e sulla produttività dell’azienda per cui lavorava. Il Tribunale del lavoro e successivamente la Corte d’Appello avevano accolto le domande del lavoratore, dichiarando l’illegittimità del licenziamento, in quanto avvenuto prima che scadessero i termini del periodo di comporto.
La decisione e principio enunciato dalla Cassazione
La Suprema Corte, nel confermare la decisione di merito, ha ribadito che con riferimento alle fattispecie concrete di licenziamento occorra tenere ben distinte le ipotesi in cui ci si dolga della condotta del lavoratore, cui si addebitano forme di inadempimento relative alla prestazione attesa dal datore di lavoro (dando luogo ad un licenziamento disciplinare) rispetto al licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c. (che prescinde da qualsivoglia inadempimento e che trova fondamento in una astratta predeterminazione del punto di equilibrio tra interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di assenze per malattia e quello del datore di lavoro di mantenere una adeguata organizzazione aziendale).
In particolare, nel caso di specie, il riferimento contenuto nel licenziamento impugnato era allo scarso rendimento del lavoratore che non avrebbe adempiuto agli obblighi contrattuali di impegno e diligenza, ottenendo risultati che si collocavano di gran lunga sotto la media degli altri lavoratori. Il discostamento da tali parametri può costituire un indice di “scarso rendimento” che, se specificamente documentato, consente al datore di avviare un procedimento disciplinareche può portare al licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Tuttavia il licenziamento intimato dal datore si riferiva poi ai brevi ma ripetuti periodi di malattia del lavoratore che avevano inciso negativamente sull’organizzazione aziendale.
Il riferimento del datore di lavoro nel licenziamento alle assenze per malattia e, quindi, ad un’ipotesi di licenziamento ex art. 2110 c.c. determina l’applicabilità della disciplina ivi contenuta che prevale, per la sua specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione lavorativa sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali. Ne consegue che il datore non può recedere dal rapporto prima del superamento del periodo di comporto previsto dal CCNL di settore. Pertanto – considerato che nel caso concreto il periodo di comporto non era stato superato – è corretta la decisione di merito che ha dichiarato la nullità dell’intimato licenziamento.
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