5 Dicembre 2024
Con l’Ordinanza n. 10065 del 15 aprile 2024, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal datore di lavoro, confermando la decisione della Corte di Appello, che aveva dichiarato l’invalidità dell’accordo conciliativo, con il quale il lavoratore aveva accettato una temporanea riduzione della propria retribuzione mensile allo scopo di preservare il posto di lavoro. L’invalidità di tale accordo, secondo i giudici di legittimità, deriva dalla avvenuta sottoscrizione presso i locali dell’azienda, luogo che non integra una delle sedi protette indicate dall’ultimo comma dell’art 2113 c.c., non essendo a tal fine sufficiente la presenza del rappresentante sindacale del lavoratore.
La pronuncia in commento si pone in discontinuità rispetto alle ordinanze della Cassazione n. 25796/2023 e n.1975/2024 che aprivano alla possibilità di sottoscrivere accordi conciliativi tra datore di lavoro e dipendente in luoghi diversi dalle sedi c.d. protette, a condizione che fosse avvenuta una concreta ed effettiva assistenza sindacale in favore del lavoratore.
Il caso e le decisioni di merito
La decisione della Suprema Corte in esame riguarda il caso di un accordo conciliativo intercorso tra datore di lavoro e dipendente, in virtù del quale l’impresa rinunciava a dare seguito ai preannunciati licenziamenti collettivi, a fronte dell’accettazione da parte di tutti i lavoratori interessati ad una temporanea riduzione del proprio stipendio mensile.
L’accordo conciliativo, stipulato nei locali dell’azienda alla presenza del rappresentante sindacale, veniva successivamente impugnato da un lavoratore che ne contestava la validità per non essere stato stipulato in una sede protetta.
I giudici di primo e secondo grado dichiaravano la nullità del verbale di conciliazione impugnato, in quanto la stipula dell’accordo era avvenuta presso la sede aziendale, luogo che non rientra tra le sedi protette indicate dagli artt. 2113 c.c. e 411 c.p.c., rilevando che la presenza del rappresentante sindacale non valesse a sanare il difetto di neutralità del luogo. Circostanza confermata anche dal fatto che le stesse parti avevano previsto la successiva ratifica dell’accordo presso le sedi abilitate.
L’ordinanza della Cassazione
La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello, sostenendo che i giudici di merito avevano erroneamente interpretato il concetto di “sede protetta”, come luogo fisico-topografico e non invece come luogo virtuale di protezione del lavoratore che si realizza attraverso l’effettiva assistenza in sede di conciliazione da parte del rappresentante sindacale cui il medesimo lavoratore abbia conferito mandato.
La Suprema Corte, nel confermare la decisione di merito, evidenzia che, in riferimento agli accordi di conciliazione riguardanti diritti indisponibili, la tutela del lavoratore non dipende esclusivamente dalla presenza del rappresentante sindacale, ma anche dell’ambiente in cui avviene la conciliazione. Per tale motivo, con le disposizioni richiamate dall’art. 2113 c.c., il legislatore ha individuato un elenco tassativo delle sedi in cui è possibile formalizzare l’accordo che presentano le caratteristiche di neutralità ed estraneità rispetto al dominio e all’influenza del datore di lavoro, condizione necessaria per garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia dei propri diritti.
Il principio di diritto
La Corte di Cassazione rigetta quindi il ricorso, ritenendo non validamente conclusa l’impugnata conciliazione e ribadendo il seguente principio di diritto: “la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”.
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