13 Giugno 2025
Con la recente Ordinanza n. 12474 dell’11 maggio 2025, la Corte di Cassazione, per la prima volta, ha riconosciuto che i sottoscrittori dei fondi comuni di investimento, sono legittimati ad impugnare le deliberazioni dell’assemblea, in base alla disciplina codicistica relativa all’invalidità delle delibere delle assemblee delle società per azioni.
L’iter argomentativo della Suprema Corte
I giudici di legittimità hanno riconosciuto l’impugnabilità delle delibere assembleari dei fondi comuni di investimentoall’esito di una articolata motivazione.
Innanzitutto, la Cassazione ha affermato che i fondi comuni di investimento non sono soggetti di diritto, bensì un mero patrimonio separato della società di gestione del risparmio nel cui alveo il fondo è stato istituito. Sul punto confermando il consolidato orientamento della giurisprudenza (Cass. n. 12062 del 2019).
Inoltre, secondo la Suprema Corte la negazione dell’impugnabilità delle delibere determinerebbe uno svuotamento del disposto della normativa di settore (TUF e regolamento della SGR), la quale avrebbe messo in piedi un sistema di partecipazione collettiva degli investitori, definito con metodo assembleare e decisione collegiale, che rimarrebbe privo di controllo, poiché i soggetti che hanno partecipato all’assemblea non ne potrebbero in nessun caso contestare la validità, chiedendone la rimozione.
Lo sviluppo della motivazione della Corte Suprema
La Cassazione ha ritenuto inammissibile l’interpretazione secondo cui gli investitori potrebbero contestare le delibere assembleari soltanto in via indiretta, ovvero se lesive dei diritti contrattuali individuali. Una simile impostazione, secondo i giudici, priverebbe di effettività l’intero meccanismo assembleare previsto dalla normativa di settore, determinando una grave lesione del diritto di difesa e creando un’anomalia giuridica nel sistema italiano.
In particolare, la Corte ha affermato: “ Se fosse vera la tesi sostenuta dalla Corte veneziana, ovvero che un eventuale vizio della deliberazione assembleare degli investitori sarebbe deducibile solo se e nella misura in cui lo stesso ridondasse in violazione dei diritti dei singoli investitori rinvenienti dal contratto da ciascuno di essi sottoscritto con la SGR, ne deriverebbe l’assoluta inutilità di aver previsto (ex lege, prima ancora che volontariamente con il regolamento) un organo collegiale speciale; perché si tratterebbe di un organo che decide senza possibilità per i partecipanti alla decisione di alcuna rimozione degli effetti della cessione assunta; ciò che sarebbe del tutto contrario al principio di tutela costituzionale dei diritti sancito dall’art. 24 della Costituzione, e che finirebbe per creare un unicum nel sistema giuridico italiano: una delibera assembleare non impugnabile per alcun motivo e, dunque, valida a prescindere dal suo metodo di formazione e dal suo contenuto oggettivo”.
Implicazioni pratiche della pronuncia in commento
L’ordinanza in esame – riconoscendo la legittimazione dei sottoscrittori ad impugnare le delibere dei fondi comuni di investimento – introduce un essenziale ed efficace strumento di tutela dei diritti degli investitori, in precedenza fortemente limitata ad una mera tutela indiretta di carattere risarcitorio.
Questa decisione della Suprema Corte rappresenta un passo avanti nel rafforzamento delle tutele collettive nel risparmio gestito e segna un’importante evoluzione nel riconoscimento di un ruolo effettivo all’assemblea dei sottoscrittori.