28 Ottobre 2022
La composizione negoziata della crisi d’impresa è uno strumento normativo introdotto di recente con lo scopo di favorire l’emersione quanto più anticipata possibile della crisi, al fine di tentarne il risanamento quando ancora la situazione finanziaria ed economica non si è completamente deteriorata.
Vista la recente introduzione, sono ad oggi rare le pronunce giurisprudenziali in materia e ciò rende particolarmente interessante la recentissima sentenza del Tribunale di Roma del 10.10.2022 che si sofferma a individuare e argomentare i presupposti fondamentali per l’accesso alla composizione negoziata della crisi d’impresa.
In primo luogo, si ricorda che la procedura può essere attivata nei casi in cui si presenti una situazione di squilibrio economico, e dunque quando l’insolvenza è solo prospettica, ovvero anche nei casi in cui sussiste una situazione di insolvenza conclamata ma non irreversibile, quando alla composizione negoziata si accede tardivamente ed è necessario il ricorso a rimedi economici e finanziari drastici e comunque le probabilità della soluzione positiva si riducono drasticamente.
Pur svolgendosi la composizione negoziata in un ambito non giudiziale, su richiesta del debitore possono dispiegarsi misure protettive e la sospensione delle azioni cautelari, per impedire che le iniziative dei creditori possano ostacolare il perseguimento degli obiettivi di risanamento. E’ evidente che tale automatica protezione possa incidere pesantemente sui diritti dei creditori e dei terzi. Per contemperare questa attitudine, la legge sottopone la conferma dell’accesso a tale protezione al vaglio del giudice per l’accertamento della sussistenza o meno dei due presupposti di legge: a) sussistenza di una situazione di squilibrio economico e finanziario e b) effettiva e realistica possibilità di pervenire al risanamento dell’impresa.
E’ sul secondo presupposto che si concentra l’attenzione del Tribunale di Roma nella sentenza in commento, sottolineando la particolare importanza e delicatezza dei temi connessi alla valutazione delle possibilità di risanamento, “la cui realistica affermazione deve dal giudice essere pienamente verificata nell’esistenza di un progetto concreto che delinei quantomeno l’obiettivo di fondo che s’intende perseguire e le linee principali degli interventi che l’impresa intende assumere”. Ciò perché il dispiegamento di strumenti giudiziari fortemente incisivi sui diritti dei terzi e dei creditori si giustifica, nell’impianto normativo complessivo, solo ed esclusivamente nella prospettiva del recupero dell’efficienza aziendale ed imprenditoriale, quale obiettivo coerente con l’interesse generale di rango costituzionale di tutela dell’economia nazionale e con i principi propri dell’art. 4 della Direttiva Insolvency, tenuto conto anche dell’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori sociali. Così viene ricostruita la ratio legis complessiva della nuova normativa.
In quest’ottica assume un carattere centrale l’obbligo posto a carico del debitore, ai fini della conferma delle misure protettive e cautelari, di depositare un piano finanziario per i successivi sei mesi, un prospetto delle iniziative di carattere industriale che intende adottare ed una dichiarazione avente valore di autocertificazione attestante, sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l’impresa può essere risanata. Obbligo che, secondo la sentenza in commento, “deve esser verificato con rigore, poichè l’ampiezza dell’ombrello protettivo costituisce un vulnus particolarmente incisivo e pericoloso per i creditori, ai quali può essere imposto solo nei casi in cui il debitore renda chiaramente plausibile il dispiegamento di un’AZIONE RISANATRICE connotata da REALISMO ed EFFETTIVITA’ ed evitare abusi ed ostruzionismi”.
Infine si esclude espressamente che si possa ipotizzare un risanamento in assenza del mantenimento della continuità aziendale e quindi tramite soluzioni che comunque conducano alla liquidazione dell’impresa.
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