16 Marzo 2023
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 7094 del 9/3/2023 ha affermato il principio per cui la proposizione di un appello con scarse o nulle possibilità di essere accolto, in quanto fondato su ragioni contrastanti con un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, configura una forma di abuso del processo che legittima la condanna del soccombente ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c.
Il caso
La pronuncia in commento ha ad oggetto una domanda risarcitoria avanzata da alcuni medici nei confronti di diverse Pubbliche Amministrazioni per la tardiva trasposizione della direttiva 93/16/CE, che attribuiva un trattamento economico annuo in favore dei medici specializzandi più alto rispetto a quello contemplato dalla legislazione precedente. Tale previsione, tuttavia, a dire degli attori, avrebbe avuto effettiva attuazione solo con il D.Lgs. n. 368/1999 e con l’art. 1, comma 300 della legge 23/12/2005 n. 266, con decorrenza dall’anno accademico 2006-2007, provocando loro un ingente danno.
La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado – che aveva rigettato le domande avanzate dagli attori – sulla scorta del consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in questione, è cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, che ha previsto una adeguata retribuzione dei medici specializzandi. Mentre, il D.Lgs. n. 368 del 1999 è intervenuto in un ambito di piena discrezionalità del legislatore nazionale.
La decisione della Suprema Corte
I Giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione, condividendo le argomentazioni sviluppate dalla Corte d’Appello, che si pongono in linea con i principi giurisprudenziali consolidatisi in materia, da cui la Suprema Corte non ritiene vi sia ragione di discostarsi.
La Cassazione ha dichiarato, altresì, l’inammissibilità dell’impugnazione del capo della sentenza di appello relativo alle condanne dei ricorrenti al pagamento della somma di € 1.000,00 ciascuno, ai sensi dell’art. 96 c. 3 c.p.c., ritenendo che l’accertamento dei presupposti della condanna (nel caso di specie consistenti nell’uso abusivo e distorto del mezzo processuale dell’impugnazione in appello), richiede un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, se la sua motivazione risponde ad esatti criteri logico-giuridici.
Nella fattispecie oggetto di giudizio, afferma la Suprema Corte, la Corte d’Appello ha debitamente motivato la propria decisione, ritenendo che l’appellante ha impugnato la sentenza di primo grado con scarse o nulle possibilità di accoglimento del gravame, in quanto le censure erano fondate su ragioni contrastanti con la consolidata giurisprudenza di legittimità e su argomenti già disattesi, circostanza che configura un abuso del processo che legittima la condanna ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c.
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