13 Ottobre 2025
La recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19750 del 16 luglio 2025 ha chiarito un punto molto importante nella gestione dei crediti di società estinte: la cancellazione di una società dal registro delle imprese non determina automaticamente l’estinzione dei crediti ancora pendenti. Tali crediti, infatti, si trasferiscono ai soci, a meno che non sia dimostrata una loro chiara volontà di rinuncia.
Questa pronuncia mette ordine in un ambito dove la giurisprudenza era divisa, fornendo indicazioni concrete per aziende, soci ed eventuali controparti coinvolte in rapporti ancora aperti con società ormai cancellate.
Caso esaminato
La vicenda che ha portato alla decisione riguarda un contenzioso tra una società cancellata dal registro delle imprese e un istituto bancario, relativo alla legittimità di applicazione di interessi su un conto corrente, in cui i soci-creditori hanno richiesto la condanna alla restituzione delle somme indebitamente versate a tale titolo.
In primo grado, il Tribunale di Napoli aveva ritenuto che la cancellazione della società comportasse la rinuncia implicita ai crediti, chiudendo il procedimento.
La Corte d’Appello, invece, ha riconosciuto ai soci della società cancellata il diritto di subentrare nei crediti e di ottenere il rimborso delle somme contestate. La Corte ha stabilito che la cancellazione di una società non comporta automaticamente la rinuncia ai crediti. Perché un credito possa considerarsi rinunciato, è necessaria una comunicazione chiara del creditore o un comportamento inequivocabile incompatibile con la volontà di far valere il diritto. In assenza di norme specifiche, i crediti non indicati nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci, che possono farli valere come propri.
Le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale riguardante la possibilità di considerare tacitamente rinunciati i crediti non inclusi nel bilancio finale di liquidazione in seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Motivi del ricorso
Con il primo motivo di ricorso, l’istituto bancario ricorrente contesta la sentenza impugnata, sostenendo che la domanda di restituzione delle somme indebitamente addebitate sul conto corrente non fosse ammissibile, poiché non era stato provato né il pagamento indebito né la chiusura del conto. L’azione, secondo la ricorrente, poteva sorgere solo a seguito di tali condizioni, con l’onere della prova a carico di chi richiede la restituzione. Inoltre, sostiene che, se la domanda fosse stata considerata di mero accertamento, l’importo dovuto avrebbe dovuto essere calcolato alla data di chiusura del conto, e non a quella di notifica della citazione, garantendo un contraddittorio adeguato rispetto alla pretesa azionata.
Con il secondo motivo, il ricorrente contesta la decisione della Corte territoriale, sostenendo che la cancellazione della società dal registro delle imprese non avrebbe dovuto comportare il trasferimento dei crediti ai soci. Secondo la ricorrente, l’orientamento prevalente esclude il passaggio ai soci di pretese incerte, illiquide o non quantificabili, che difficilmente possono essere incluse nel bilancio di liquidazione. Nel caso di specie, il bilancio non riportava crediti in contenzioso, e all’ex socio era stato assegnato solo un credito specifico nei confronti di un’altra società.
Con il terzo motivo, la ricorrente contesta la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, sostenendo che ciò abbia impedito un contraddittorio effettivo sul merito e sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. Secondo la ricorrente, la sentenza ha scelto una modalità di calcolo dei saldi senza affrontare altri rapporti rilevanti e senza considerare eccezioni di prescrizione, violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Inoltre, non sono stati indicati i singoli rapporti di conto, né valutati i contratti mancanti, limitando la possibilità di eccepire la prescrizione e di determinare correttamente le rimesse solutorie.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, i controinteressati lamentano che la sentenza impugnata non abbia accolto la loro domanda di accertamento del saldo creditore del conto corrente. Sostengono di avere interesse a tale accertamento, che dimostrerebbe l’assenza di debiti nei confronti dell’istituto bancario.
Contrasto giurisprudenziale
In passato, alcune pronunce avevano ritenuto che la mancata inclusione dei crediti nel bilancio di liquidazione comportasse una presunzione di rinuncia tacita, estinguendo automaticamente i diritti della società e impedendo ai soci di agire in giudizio. Al contrario, orientamenti più recenti sostengono che la cancellazione non estingue automaticamente i crediti: questi si trasferiscono ai soci, salvo che sia provata una remissione del debito chiara e comunicata al debitore.
Il contrasto giurisprudenziale nasce dal diverso peso attribuito alla mancata iscrizione in bilancio e al comportamento dei liquidatori. La Corte ha sottolineato che la presunzione di rinuncia non può fondarsi sul semplice silenzio o sull’omissione contabile, ma richiede una manifestazione inequivocabile di volontà da parte del creditore. In assenza di tale prova, la regola generale è la sopravvivenza dei crediti, con conseguente onere a carico di chi contesta la pretesa di dimostrare l’avvenuta rinuncia.
Principio di diritto della sentenza
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito il seguente principio:
«L’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non comporta anche l’estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci, salvo che il creditore abbia inequivocamente manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore, e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare: a tal fine, non risulta tuttavia sufficiente la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione, la quale non giustifica di per sé la presunzione dell’avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore convenuto in giudizio dall’ex-socio, o nei confronti del quale quest’ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l’onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l’estinzione del credito».
Onere della prova e rinuncia al credito
In altre parole, la semplice cancellazione della società non implica automaticamente la rinuncia ai crediti, e questi possono essere fatti valere dai soci, a meno che non sia dimostrata una rinuncia chiara e debitamente comunicata.
L’onere di allegare e provare la remissione spetta a chi intende far valere l’estinzione del credito:
- Il debitore deve fornire prove concrete che il socio o ex creditore abbia rinunciato al credito.
- La rinuncia può essere espressa o risultare da comportamenti incompatibili con la volontà di far valere il credito.
- Essendo un atto recettizio, la rinuncia deve essere comunicata al debitore, che ha la possibilità di accettarla o rifiutarla entro un tempo ragionevole.
In sostanza, non è il socio a dover dimostrare il credito, bensì il debitore che intende opporsi.
Implicazioni pratiche
La decisione della Cassazione ha effetti concreti per diversi soggetti:
- Soci di società estinte: possono continuare azioni legali già avviate dalla società e rivalersi sui crediti residui, anche se non erano stati indicati nel bilancio di liquidazione.
- Controparti (banche, fornitori, clienti): non possono più considerare automaticamente chiuso un contenzioso a seguito della cancellazione della società; dovranno provare la rinuncia al credito per opporsi.
- Gestione della liquidazione: le imprese in liquidazione devono prestare maggiore attenzione a eventuali crediti pendenti e valutare come gestirli prima della chiusura definitiva.
Il principio enunciato dalla Cassazione Sezioni Unite 16 luglio 2025 n. 19750 tutela il patrimonio residuo della società e garantisce ai soci e ai creditori maggiori strumenti per far valere i propri diritti.
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