12 Settembre 2025
Con la Sentenza n. 23093 depositata l’11/8/2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate su due rinvii pregiudiziali aventi ad oggetto l’identificazione dei limiti di ammissibilità della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà su beni immobili.
La decisione in commento è di grande interesse, in quanto ha una rilevante portata innovativa, escludendo, in conclusione di un articolato iter motivazionale, che l’atto di rinuncia alla proprietà immobiliare, possa essere soggetto a qualsivoglia sindacato giudiziale di validità.
Il fenomeno sociale sotteso alla decisione della Cassazione
La pronuncia in esame risponde all’incertezza della giurisprudenza che si è trovata a decidere di casi in cui il proprietario di un immobile dismetta il proprio diritto dominicale, tramite un atto unilaterale abdicativo, in quanto il bene di cui è titolare è produttivo esclusivamente di costi ed ha un valore economico risibile.
Ciò, ai sensi dell’art. 827 c.c., comporta l’acquisto dell’immobile da parte dello Stato, con conseguente assunzione dei costi ad essi relativi da parte della collettività.
Per tale ragione un diffuso orientamento giurisprudenziale riteneva che la legittimità dell’atto di rinuncia fosse suscettibile di un sindacato di validità giudiziale, fondato sulla sua meritevolezza, ovvero sulla liceità della causa o dei motivi, ovvero in punto di abuso del diritto.
La motivazione della sentenza
La Suprema Corte prende in considerazione i diversi istituti che sono stati al centro del dibattito giurisprudenziale in merito all’individuazione del perimetro di validità dell’atto di rinuncia alla proprietà di un immobile ed in particolare:
- il vaglio di meritevolezza / liceità della causa;
- illliceità del motivo;
- frode alla legge o nullità per contrasto con il divieto di abuso del diritto.
La Cassazione ritiene che tutti i precedenti rimedi invalidanti non siano praticabili in relazione all’atto di rinuncia alla proprietà immobiliare, in quanto essa trova causa in sé stessa e non nell’atto dell’altro contraente cui è destinata e quindi soddisfa anche il controllo di meritevolezza dell’interesse perseguito.
Inoltre, prosegue la Corte: “Consistendo la rinuncia abdicativa alla proprietà in un atto di esercizio del dominio realizzatore dell’interesse patrimoniale protetto dalla relazione assoluta di attribuzione tra soggetto e bene, essa non si presta ad un impiego come strumento diretto ad eludere norme imperative per ottenere un risultato vietato dalla legge, né può pensarsi finalizzata esclusivamente al perseguimento di scopi riprovevoli ed antisociali”.
I giudici di legittimità all’esito delle argomentazioni sopra richiamate per il caso in cui il proprietario eserciti il potere abdicativo della proprietà in funzione antisociale lascia aperta la strada della valutazione secondo i canoni della responsabilità civile.
I principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite
La Cassazione, in conclusione dei propri ragionamenti, enuncia i seguenti principi di diritto: “La rinuncia alla proprietà immobiliare è atto unilaterale e non recettizio, la cui funzione tipica è soltanto quella di dismettere il diritto, in quanto modalità di esercizio e di attuazione della facoltà di disporre della cosa accordata dall’art. 832 cod. civ., realizzatrice dell’interesse patrimoniale del titolare protetto dalla relazione assoluta di attribuzione, producendosi ex lege l’effetto riflesso dell’acquisto dello Stato a titolo originario, in forza dell’art. 827 cod. civ., quale conseguenza della situazione di fatto della vacanza del bene. Ne discende che la rinuncia alla proprietà immobiliare espressa dal titolare “trova causa”, e quindi anche riscontro della meritevolezza dell’interesse perseguito, in sé stessa, e non nell’adesione di un “altro contraente.
Allorché la rinuncia alla proprietà immobiliare, atto di esercizio del potere di disposizione patrimoniale del proprietario funzionalmente diretto alla perdita del diritto, appaia, non di meno, animata da un “fine egoistico”, non può comprendersi tra i possibili margini di intervento del giudice un rilievo di nullità virtuale per contrasto con il precetto dell’art. 42, secondo comma, Cost., o di nullità per illiceità della causa o del motivo: ciò sia perché le limitazioni della proprietà, preordinate ad assicurarne la funzione sociale, devono essere stabilite dal legislatore, sia perché non può ricavarsi dall’art. 42, secondo comma, Cost., un dovere di essere e di restare proprietario per “motivi di interesse generale”. Inoltre, esprimendo la rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile essenzialmente l’interesse negativo del proprietario a disfarsi delle titolarità del bene, non è configurabile un abuso di tale atto di esercizio della facoltà dominicale di disposizione diretto a concretizzare un interesse positivo diverso da quello che ne giustifica il riconoscimento e a raggiungere un risultato economico non meritato”.
La sentenza in commento riconosce, quindi, che la dismissione della proprietà immobiliare, con conseguente acquisto da parte dello Stato è sempre valida, rappresentando una modalità di esercizio del diritto di proprietà e come tale lecito, anche se animata da un ‘fine egoistico’, quale può essere quello di liberarsi di costi che vengono a trovarsi sostenuti dalla collettività.
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