15 Luglio 2025
La Corte di Cassazione, con la recente Ordinanza n. 15808, depositata il 13/6/2025, ha affrontato il dibattuto tema della possibilità per la parte non inadempiente di rinunciare all’effetto risolutivo del contratto provocato dall’invio di una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.
La Suprema Corte, dopo aver riepilogato i contrastanti orientamenti della giurisprudenza di legittimità in materia, ha condiviso una soluzione intermedia tra quelle prospettate, secondo la quale la possibilità di rinunciare all’effetto risolutivo dipenderebbe dall’esistenza di una contestazione della parte inadempiente.
La fattispecie concreta e le decisioni di merito
Il caso di cui alla pronuncia in commento ha ad oggetto un rapporto di locazione tra due società, nel corso del quale la locatrice inviava una PEC contenente una diffida ad adempiere alla società conduttrice, intimandole di corrispondere i canoni insoluti nel termine di 15 giorni dal ricevimento della missiva. Alcuni anni dopo la locatrice emetteva fatture per i canoni relativi al periodo successivo all’invio della diffida ad adempiere, sulla base delle quali chiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo.
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale revocava il provvedimento monitorio, ritenendo che la diffida ad adempiere avesse provocato la risoluzione del contratto di locazione e che quindi non fossero dovuti i canoni per il periodo di tempo successivo alla cessazione del rapporto.
La Corte di Appello accoglieva il gravame proposto da parte locatrice ritenendo – diversamente da quanto affermato dal giudice di prime cure – che quest’ultima avesse rinunciato ad avvalersi della risoluzione e, conseguentemente, riformava la sentenza di primo grado rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo.
La decisione della Cassazione
Tra i diversi motivi di ricorso in Cassazione la conduttrice ricorrente lamentava la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1454 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, relativamente alla risoluzione di diritto del contratto conseguente alla diffida ad adempiere, non avendo il giudice del gravame ritenuto risolto il contratto di locazione per effetto della diffida, nonostante la locatrice per diversi anni non avesse avanzato alcuna richiesta di pagamento dei canoni successivi all’invio della missiva.
La Suprema Corte, innanzitutto, dà atto della sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittima in merito alla rinunciabilità dell’effetto risolutorio provocato ipso iure, in forza degli istituti regolati dagli artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.
Secondo un primo orientamento il contraente non inadempiente, così come può rinunziare ad eccepire l’inadempimento che potrebbe dare causa alla risoluzione del contratto, può anche rinunciare ad avvalersi dell’effetto risolutivo già verificato in forza di una diffida ad adempiere o delle altre ipotesi di risoluzione ipso iure del contratto (in tal senso, tra le tante, Cass. n. 9317/2016 e Cass. n. 26687/2023)
Un diverso orientamento, invece, ritiene che il contraente non inadempiente non abbia più la disponibilità di rinunziare ad una risoluzione di diritto già prodottasi (tra le tante Cass. 7313/2017 e Cass. 25128/2024).
A parere dei giudici di legittimata la soluzione interpretativa preferibile sarebbe quella di differenziare l’ipotesi in cui l’effetto risolutivo sia contestato da controparte, rispetto a quello in cui non lo sia.
Solo nel primo caso la parte non inadempiente, preso atto della contestazione di controparte, potrebbe rinunciare all’effetto risolutivo, in un’ottica di implicito riconoscimento della fondatezza delle avversarie contestazioni.
Diversamente, la mancanza di contestazione dell’effetto risolutivo precluderebbe la rinuncia da parte del diffidante.
A fronte del precedente ragionamento, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte di Appello affinché applichi il principio di diritto esposto al caso di specie.
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