8 Giugno 2023
Un trattamento illecito dei dati personali, anche qualora accertato dal Garante per la protezione dei dati personali non può comportare automaticamente alla persona lesa il riconoscimento del diritto ad ottenere un risarcimento del danno. Lo ha sostanzialmente statuito la Cassazione, con l’ordinanza numero 2685 del 30 gennaio 2023.
Il caso
Un presentatore noto a livello locale si era rivolto al Garante per la protezione dei dati personali dopo che il suo volto era stato mostrato in una nota trasmissione televisiva, come persona che avrebbe attuato un tentativo di truffa nei confronti di due sindaci.
Il Garante aveva accertato che, pur risultando la vicenda descritta nella trasmissione di interesse pubblico, la diffusione dell’immagine della persona non era giustificata ed era in violazione, oltre che della normativa sulla protezione dei dati personali, anche degli articoli 10 del codice civile e 96 e 97 della Legge 633/41 (Legge sul Diritto d’Autore).
Sulla base di tale provvedimento, il presentatore si rivolgeva al tribunale competente per richiedere un ingente risarcimento. A seguito di un lungo iter processuale, la vicenda approdava infine in Cassazione.
La Cassazione
La Suprema Corte, confermando la sua precedente giurisprudenza, all’interno della complessa motivazione, ha specificato che la correlazione tra illecito trattamento dei dati personali e risarcimento del danno non si verifica in via automatica in quanto “il danno non patrimoniale risarcibile non è in re ipsa e va pertanto individuato non nella lesione del diritto inviolabile ma nelle conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato”.
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